martedì 31 gennaio 2012

I cacciatori in Italia saccheggiano la biodiversità incuranti dei principi di conservazione

comunicato stampa, 31/1/2012


 
 

CABS (Committee Against Bird Slaughter)
LAC (Lega Abolizione Caccia)
 
 
CALENDARIO DEI CACCIATORI BRACCONIERI
I cacciatori in Italia saccheggiano la biodiversità incuranti dei principi di conservazione.
 Un calendario testimonia giorno per giorno i crimini che i cacciatori compiono verso la natura
 
 
Quasi un caso al giorno per 365 giorni l’anno. Un calendario stilato da CABS e Lega Abolizione Caccia, al termine della stagione di caccia 2011/12 avvenuta al tramonto del 30 gennaio,   raccogliendo le notizie dal web e dalla rete delle guardie venatorie  volontari dimostra che le illegalità in materia venatoria non sono un’eccezione, ma la regola.
 
Con un campione di 330 eclatanti reati venatori commessi nei confronti degli animali selvatici, una grande fetta del mondo venatorio dimostra di non avere interesse per la conservazione per la fauna, ma solo per ritornare a casa con un bel bottino di animali selvatici abbattuti.
“I cacciatori ci tengono a dire che chi non ama la caccia è perché non la conosce; noi del CABS e della LAC che grazie al nostro volontariato e alle nostre guardie volontarie siamo sui campi, nei boschi e fra i monti ogni giorno, possiamo dire di conoscere bene la realtà della caccia e che questa è ben lontana dall’immagine edulcorata che i cacciatori vogliono dare di sé” – riferisce Simone Bonanomi, volontario antibracconaggio della Lega Abolizione Caccia e fra i redattori del calendario.
“Per questa ragione abbiamo iniziato a raccogliere tutti quei crimini di maggiore rilevanza – la punta di un iceberg enorme – che coinvolgono cacciatori con tanto di licenza. Non sono quindi semplici bracconieri, ma veri cacciatori che bracconano, infischiandosene delle regole e dei principi di conservazione. Vogliamo dimostrare che i cacciatori sono un pericolo per la biodiversitá”.
Tra le zone più problematiche il Delta del Po, le zone umide toscane e pugliesi, l'intera provincia di Brescia, le piccole isole  come Ponza, Ischia, Ustica, Lampedusa, Pantelleria.
Fra i crimini maggiormente diffusi infatti l’abbattimento di esemplari di specie protette come: rapaci, cicogne, gru, ibis, e poi fringuelli, frosoni e pispole, e piccoli migratori tutelati internazionalmente. Poi ancora l’uso di richiami elettro-acustici per attrarre a portata di fucile gli animali, la caccia in aree protette e la caccia in periodo di silenzio venatorio. Ma anche l’uso di trappole, reti e in molti casi il maltrattamento delle loro vittime, come per un cacciatore che teneva un tasso in cantina in attesa di scuoiarlo per poi imbalsamarlo.
“Non si può dare la colpa solo ai bracconieri, quando poi si scopre che più dell’85% dei casi di bracconaggio* sono compiuti da persone con la licenza di caccia” – continua Andrea Rutigliano, responsabile del CABS in Italia. “La caccia fuori controllo è un fenomeno tutto italiano ed è evidente che i cacciatori chiedano ai loro rappresentanti politici di premere per una legittimazione del bracconaggio. Altrimenti non si spiegherebbe perché ogni anno in Parlamento vengano presentate proposte di legge che mirano a depenalizzare i reati venatori, ad aumentare il numero di specie cacciabili, ad autorizzare la caccia nei parchi e nelle aree protette e ad allungare inverosimilmente la stagione venatoria. Di fatto questo interessa ai cacciatori. Altro che la tutela della natura”.
LAC e CABS hanno raccolto per i 12 mesi dell’anno (febbraio 2011 – gennaio 2012) tutti i casi di bracconaggio praticati da persone dotate di licenza di caccia, di cui è rimasta traccia sulla stampa o negli atti giudiziari. Con 313 casi eclatanti comprovati e almeno 750 cacciatori coinvolti, questo dato non è che una minima parte dei crimini effettivamente rilevati dalle insufficienti forze di controllo venatorio, a loro volta una minima parte dei reali crimini contro la biodiversitá commessi dai cacciatori in un anno.

SI veda l'apposita pagina web: 

Lega Abolizione Caccia
Ufficio Stampa

lunedì 30 gennaio 2012

Genova. Condannato il killer dei lupi, già vice-caposquadra dei cacciatori cinghialisti

Gli esami del DNA "inchiodano" alle sue responsabilità il "serial killer" di 6 lupi appenninici.  Condannato oggi dal Tribunale di Chiavari il bracconiere, che aveva anche ottenuto svariati indennizzi pubblici per la predazione di alcune pecore. Decisivo il responso sulla collana di 10 denti canini sequestrata ad agosto 2008 al pastore/cacciatore di Borzonasca (GE) dalla Polizia Provinciale di Genova. Prima condanna penale in Italia per uccisione di esemplari di questa specie. Il WWF era costituito parte civile (31/01/11)
Oggi 31 gennaio il Tribunale penale di Chiavari (GE)  ha condannato M.G., residente a  Sopralacroce, frazione di Borzonasca, alla pena di  7 mesi di arresto (con la condizionale)  per reati connessi alla detenzione abusiva di polvere da sparo e 62 munizioni, all'omessa custodia di un fucile e cartucce a pallettoni, e all'uccisione di alcuni lupi appenninici avvenuti  in aree limitrofe al Paco Regionale dell'Aveto. Il giudice Carta del Tribunale di Chiavari ha condannato l'imputato anche a rifondere complessivamente 6.000 euro alle tre parti civili oltre a 1500 euro per spese processuali.
Un'indagine innovativa che ha fatto scuola in materia, per l'adozione di tecniche forensi con complessa estrazione di DNA da denti , applicate ad un procedimento di polizia venatoria.
Lo rende noto il WWF Liguria, costituitosi parte civile tramite l'avv. Barabino, oltre alle costituzioni di parte civile di Legambiente e LAV.

Il lupo abbandonato col muso mozzato davanti alla Casa cantoniera della ProvinciaAl collo di M.G. (già vice-caposquadra dei cacciatori cinghialisti di Borzonasca) la Polizia Provinciale di Genova, durante una perquisizione all’alba del 12 agosto 2008,  aveva trovato una collana fatta con dieci denti di lupo (nella foto), alcuni dei quali si sospettava tolti all’esemplare ucciso illecitamente  e abbandonato nella notte del 10 febbraio 2007 con il muso mozzato, in un plateale gesto di sfida, di fronte ad una casa cantoniera della Provincia, nella località "La Squazza" del Comune di Borzonasca (GE) , lungo la strada provinciale che conduce al Passo della Forcella.
Dopo una lunga indagine sull’uccisione  di quell’esemplare di lupo appenninico, specie particolarmente protetta, la Polizia Provinciale di Genova aveva stretto il cerchio eseguendo con 7 tra ufficiali ed agenti  una perquisizione in località Bevena, sempre nel Comune di Borzonasca, disposta dalla Procura della Repubblica di Chiavari.
Oltre alla collana di 10 denti canini di lupo, indossata al collo del presunto bracconiere, gli uomini della Polizia provinciale avevano scoperto un fucile calibro 12 e varie cartucce a pallettoni nascosti sotto una roccia, nei pascoli del Monte Aiona, a 4 chilomentri dall'abitazione dell'indagato , che aveva lasciato sul posto la propria arma, servendosene per ripetuti appostamenti alla selvaggina anche in periodo di divieto generale di caccia .
Nella perquisizione erano state sequestrate anche alcune centinaia di munizioni per fucile e per carabina e circa un chilo di polvere da sparo non denunciate, oltre a diversi fucili detenuti irregolarmente e il proprietario era stato denunciato all'autorità giudiziaria per uccisione di esemplari appartenente a specie particolarmente protetta, omessa custodia di armi e munizioni, omessa denuncia di munizioni, caccia in periodo di divieto generale.
Pochi giorni dopo al bracconiere e a suo fratello erano state ritirate le licenze di porto di fucile dall'autorità di pubblica sicurezza.
Sbalorditivi i risultati delle recenti complesse analisi del DNA effettuate dall'ISPRA (settore dell' ex Istituto Nazionale Fauna Selvatica) : i denti della collana (dalla polpa dei quali è stato estratto il DNA)  appartentono tutti al lupo appenninico italiano, e sono riferiti a 6 (sei) distinti esemplari: 3 maschi e tre femmine. Il DNA di uno dei denti appartiene senza dubbio all'esemplare lasciato in segno di sfida di fronte al casotto provinciale nel febbraio 2007, e di cui a suo tempo era stato saggiamente prelevato e surgelato per precauzione un campione di muscolo, per eventuali comparazioni future.
Il DNA di un altro dente è stato associato, tramite la banca dati genetica del lupo appenninico presso l'ISPRA, ad un  campione fecale raccolto in provincia di Genova nel 2007, sempre in comune di Borzonasca, dai ricercatori che da anni studiano il lupo sull'appennino ligure. La condanna si riferisce solo all'uccisione di 2 dei 6 esemplari di cui ai canini della collana. Il condannato aveva ricevuto in precedenza dalla Provincia varie migliaia di euro di indennizzi per la predazione di alcune pecore di sua proprietà, ma era nel contempo conosciuto come sospetto bracconiere.
E' la prima volta in Italia che viene condannato un bracconiere per l'uccisione di alcuni lupi, nonostante si stimi che degli 800 attualmente presenti in tutta Italia ne muoiano per bracconaggio ed investimenti stradali quasi un centinaio l'anno (5 lupi uccisi n centro Italia, tra Marche, Abruzzo e Molise solo nel 2011)

Il WWF Italia si era costituito parte civile nel processo. Nell'aprile 2009 un'altra associazione ambientalista (LIPU)  aveva assegnato a 2 ufficiali della Polizia Provinciale di Genova il premio nazionale annuale "Pettirosso", per la migliore indagine antibracconaggio dell'anno 2008 in Italia.

giovedì 26 gennaio 2012

Pisa. Nei guai 21 cacciatori hanno ucciso maiali durante una battuta

Sono stati tutti identificati e denunciati i cacciatori che all’inizio di gennaio hanno imperversato all’interno di una proprietà privata uccidendo alcuni capi di cinta senese che erano di èproprietà di un allevatore di Castelnuovo Valdicecina. Durante una battuglia di caccia al cinghiale i cacciatori, in tutto sono state denunciate 21 persone, sono entrati nella proprietà privata e hanno finito per dare la caccia ad animali che non erano selvatici. Li hanno spinti dentro il bosco con i cani e poi li hanno uccisi. Fatti a pezzi e caricati sulle loro macchine per poi allontanarsi. Ma qualcuno li ha visti.
Anche perchè non era la prima volta che i cacciatori ai quali è stata assegnata la zona di Pian del Serri si addentravano nella proprietà privata.
L’allevatore quando ha avuto la certezza che erano stati uccisi alcuni animali all’interno della sua azienda agricola si è rivolto ai carabinieri di Castelnuovo Valdicecina e ha presentato una querela chiedendo che fosse fatta piena luce sulle responsabilità. A conclusione delle indagini sono stati denunciati i 21 cacciatori che abitano nelle zone di Castelnuovo, Santa Croce, Ponsacco e Santa Maria a Monte. Uno dei cinghialai di Santa Maria a Monte è stato denunciato per avere ucciso gli animali (causando un danno di circa tremila euro). Tutti sono stati denunciati in concorso tra loro per furto aggravato. I carabinieri hanno scritto anche alla prefettura chiedendo che a questa squadra di cacciatori venga revocata la licenza per andare a caccia. Sarà anche richiesto alla Provincia di non concedere a questo gruppo la possibilità di tornare a cacciare nello stesso ambito territoriale a loro assegnato fino a questo momento. A questo punto la speranza è che non ci siano altri episodi del genere. E che la denuncia possa servire a mettere un freno a certi comportamenti avvenuti nel passato in questa zona di Castelnuovo.
Non è infatti la prima volta che l’allevatore si trova costretto a subire le conseguenze del “passaggio” dei cinghialai all’interno dei suoi terreni e dell’azienda agricola con danni anche agli animali. Finora gli autori dei raid non erano mai stati scoperti. Stavolta è andata diversamente.(s.c.)




mercoledì 25 gennaio 2012

Associazioni: tentativo di un deputato leghista di riproporre Caccia selvaggia

Comunicato stampa 25 gennaio 2012
CABS - ENPA - LAC - LAV - LEGAMBIENTE - LIPU ­ WWF Italia

CACCIA, LEGGE COMUNITARIA 2011
Associazioni: tentativo di un deputato leghista di riproporre Caccia selvaggia.

Emendamenti inammissibili e dai contenuti gravissimi.
Intervengano Governo e Parlamento per evitare la condanna definitiva dell' Italia
"In un momento delicatissimo per l¹Italia, mentre il Governo, una larghissima maggioranza parlamentare e la parte migliore del Paese chiedono e fanno rinunce enormi per evitare una crisi devastante all'Italia, il
deputato leghista Pini ripropone di votare caccia selvaggia, con il conseguente massacro di migliaia di animali protetti, rischi per i cittadini e la certezza di nuove condanne comunitarie. Un atto di assoluta irresponsabilità, da bloccare immediatamente.
Lo affermano le associazioni CABS, Enpa, Lac, LAV, Legambiente,Lipu-BirdLife Italia e WWF Italia a proposito degli emendamenti 30.054 e 30.055 proposti dall¹on Pini (Lega Nord) alla legge Comunitaria
("Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee " C. 4623-A), in aula alla Camera dei Deputati. Anzitutto si tratta di un'iniziativa formalmente inammissibile, perché le proposte dell¹on. Pini non trattano del recepimento di nuove direttive comunitarie ma vertono su parti della legge italiana non oggetto di procedure di infrazione e che anzi sono state già sanate dal Parlamento, dopo la pesante condanna giunta dalla Corte di Giustizia europea nel 2010.
Al contrario, le proposte Pini riporterebbero paradossalmente l'Italia in clamorosa e plurima infrazione, con la conseguenza di una condanna questa volta definitiva, ai sensi dell¹articolo 260 del Trattato dell' Unione
europea, e la robusta imposizione di sanzioni economiche.
Ma è anche dal punto di vista sostanziale che le proposte Pini appaiono gravissime e persino provocatorie. Gli emendamenti prevedono infatti, tra le altre cose:
-          l¹apertura della caccia in piena estate per Tortore e Quaglie, con gravi rischi per i villeggianti;
-          l¹allungamento della stagione venatoria oltre il 31 gennaio;
-          la depenalizzazione di gravi reati di bracconaggio (caccia a specie protette, uso di mezzi vietati quali
lacci, trappole, richiami elettroacustici, balestre, vischio);
-          la caccia a specie vietate dalla direttiva europea come il Fringuello;
-          l'eliminazione degli anelli inamovibili per i piccoli uccelli utilizzati come richiamo vivo.
Insomma, un¹iniziativa davvero irresponsabile, tanto più che arriva in un momento così delicato per il Paese, sotto il profilo economico, sociale e anche ambientale², affermano le Associazioni.
Chiediamo dunque al Governo e al Presidente della Camera di intervenire, senza esitazione, dichiarando inammissibili gli emendamenti Pini, e al Parlamento di opporvisi con tutta la nettezza e la fermezza necessarie, come ha già fatto in passato e come meritano proposte così negative², concludono le Associazioni.
25 gennaio 2012

Ufficio Stampa LAV 06 4461325 ­ 339
1742586

Per chi sniffa coca nessuna licenza di caccia

IL TAR Lombardia conferma che anche un solo episodio accertato è "assunzione occasionele di stupefacenti"
Il Decreto Min. Sanità 28 aprile 1998 che concerne i requisiti psicofisici per il rilascio di tale licenza, annovera - tra le (non molte) cause ostative- proprio l'assunzione di stupefacenti, recitando:

"Costituisce altresi' causa di non idoneita' l'assunzione anche occasionale di sostanze stupefacenti  e l'abuso di alcool e/o di psicofarmaci". 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia si è così pronunciato con sentenza n. 197 depositata il 18 gennaio scorso, decidendo sul ricorso di C.F. , a cui la Questura di Milano aveva negato il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia nel novembre 2003, essendo stato trovato in possesso di cocaina ed avendo egli dichiarata di averla assunta "per la prima volta".

Il testo integrale della sentenza:

Secondo la Lega Abolizione Caccia la normativa attuale è ancora carente, mancando tuttora anche un espresso divieto di bere alcolici mentre ci si trova a caccia, anche se la propensione all'abuso di alcol sarebbe un'altra causa ostativa al rilascio della licenza.

Anche un singolo episodio di assunzione di cocaina costituisce valido motivo per il diniego del rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia, avendo la normativa del settore finalità cautelari.

martedì 24 gennaio 2012

Velletri. Cacciatori litigano nel bosco, parte un colpo di fucile

 (Velletri - Cronaca) - Litigio tra cacciatori domenica 22 gennaio. In zona Colle dell'Acero, in pieno bosco nel territorio del Parco regionale dei Castelli Romani, si affrontano due gruppi di cacciatori. Un primo gruppo è di cinque persone, il secondo di tre. Dopo un alterco solo verbale, per motivi non chiari, una persona del primo gruppo spara un colpo di fucile. Secondo chi ha fatto fuoco l'arma è puntata in aria, secondo il gruppo "rivale" ad altezza d'uomo. Per fortuna nessuno si è fatto male e anche l'automobile del gruppo, un fuoristrada Nissan Navara, non è stato colpito. Intervengono gli agenti del Commissariato di Velletri che sequestra l'arma che ha sparato, denuncia l'uomo a piede libero e anche un secondo fucile per un problema legato al rinnovo della licenza. Spetta ora alla Polizia capire effettivamente cosa sia successo.

Fonte: castellinews.it del 22 gennaio 2012

Caccia in Sardegna, stagione 2011-2012, morti e feriti (12)

Ancora un aggiornamento della contabilità dei morti e feriti umani durante la stagione di caccia 2011-2012 in Sardegna.  Finora siamo a tre morti e dodici feriti, tutti cacciatori con l’eccezione di un pescatore di origine romena. In realtà quattro morti e dodici feriti, visto che un altro cacciatore (Domenico Molino, nelle campagne di Ovilò, Loiri Porto S. Paolo) è stato ucciso in circostanze inquietanti, quasi certamente per cause legate al mondo venatorio. Un altro cacciatore è deceduto per infarto durante una battuta di caccia.
Nella stagione venatoria 2010-2011 in Sardegna ci sono stati 4 morti, tutti cacciatori, e 11 feriti, dei quali 10 cacciatori e 1 persona comune, una ragazza che cercava funghi.  In tutta Italia ben 35 morti, dei quali 34 cacciatori e 1 persona comune, ben 74 feriti, dei quali 61 cacciatori e 13 persone comuni.   Il trend negli ultimi 3 anni è in deciso aumento.  I morti e i feriti fra gli altri animali in una stagione venatoria si stimano in centinaia di milioni.
Lega per l’Abolizione della Caccia, Gruppo d’Intervento Giuridico, Amici della Terra

Morti:  Maurizio Tasini (40 anni, di Cagliari, nelle campagne di Quartucciu), Dino Silesu (63 anni, di Marrubiu, nei boschi alle pendici del Monte Arci), Alessandro Cossu (50 anni, di Laconi, nelle campagne del paese).
Feriti:  Mario Pirina (41 anni, di Arzachena, a Stazzu Lu Palazzu, Arzachena), Manlio Palmas (63 anni, di Ussana, nell’agro di Donori), Luigi Dasara (58 anni, di Luogosanto, nell’agro del paese), Marco Farina (36 anni, di Quartucciu, nelle campagne di Sinnai), Pietro Fancello (72 anni, di Talana, nei boschi fra Villagrande Strisaili e Talana), Antonello Benizzi (60 anni, di Iglesias, nei boschi fra San Benedetto e S. Angelo), cacciatore di cui non sono state riportate le generalità (64, di Serramanna, nelle campagne fra Villacidro e Vallermosa), Antonio Padedda (36 anni, di Bolotana, nei boschi dei Castula, Bolotana, ferito da un cinghiale), Ion Bocur (34 anni, pescatore di origine romena, sul Lago del Liscia, Luras), Vincenzo Piccioni (38 anni, di Baunei, nelle campagne di Triei), Antonio Scattino (54 anni, di Quartu S. Elena, nelle campagne di San Vito), Angelo Lussu (64 anni, di Burcei, nei boschi fra Burcei e Villasalto).

sabato 21 gennaio 2012

Olbia. Ucciso per litigi di caccia

Faedda confessa e accusa Quaglioni: "L'abbiamo ucciso per litigi di caccia"

Il delitto di Ovilò. L’agguato a Domenico Molino per il pm Rossi è una questione di balentìa: «Colpito come un cinghiale». Disoccupato di Berchiddeddu confessa e accusa un escavatorista di Loiri di aver sparato

OLBIA. «Siamo andati lì per ucciderlo». Andrea Faedda, 36 anni, disoccupato di Berchiddeddu, è crollato. E ha confessato a carabinieri e magistrato di aver raggiunto La Silvaredda, campagna di Ovilò, con Antonello Quaglioni, 59 anni, un escavatorista di quelle parti. Lì hanno aspettato Domenico Molino e, secondo l'accusa, l'hanno ammazzato con due fucilate tra le 7 e le 7.30 del 22 dicembre scorso. «Per dissidi di caccia», avrebbe raccontato Faedda. A sparare non sarebbe stato Faedda. «Io - avrebbe detto - sono rimasto nascosto. Ho sentito il primo colpo, poi, a distanza di qualche secondo, l'altro». Secondo la sua versione, quindi, i colpi sarebbero partiti dal fucile di Quaglioni. Riccardo Rossi, magistrato di Tempio incaricato di seguire le indagini del delitto dal procuratore Mario D'Onofrio, ieri era a Olbia per ufficializzare che «il caso è chiuso».

E non per fortuna, ma al termine di indagini svolte dai carabinieri del reparto territoriale alla vecchia maniera («parlando con la gente»), poi supportate dagli aiuti tecnici e scientifici. Ed ecco i due arresti, 25 giorni dopo il delitto: Quaglioni e Faedda sono accusati di omicidio premeditato in concorso tra loro con l'aggravante dei futili motivi. «Perché il movente - ha precisato Rossi - è legato a questioni di balentìa nell'ambito dell'attività venatoria. Una vera e propria esecuzione, col colpo di grazia finale. La prima fucilata ha raggiunto Molino all'addome. La seconda alla schiena, sparata in un secondo momento, è stata esplosa da un punto più alto. Chi ha premuto il grilletto, lo ha fatto come se stesse uccidendo un cinghiale». I presunti assassini sono in cella (il più giovane a Tempio, l'altro a Sassari): oggi è prevista la convalida. Ieri la conferenza stampa. Oltre al sostituto procuratore Rossi, c'erano il comandante provinciale dei carabinieri Francesco Atzeni, il colonnello Nicola Lorenzon e il capitano Alessandro Dominici del reparto territoriale, oltre al luogotenente Gesuino Seu della stazione di Olbia centro.

Ha detto Rossi: «Il lavoro dei carabinieri è stato meticoloso, puntuale, rigoroso. Questo caso, rimasto caldo sino a quando si è concluso, non era facile. Il 22 dicembre, sul luogo del delitto, non c'erano tracce evidenti che potessero aiutare». Non solo. Tutte le persone che conoscevano bene Domenico Molino, lo hanno sempre definito come una persona assolutamente tranquilla e onesta, un padre e un marito meraviglioso, un buon compagno di caccia. Tutto era da ricostruire, dunque, ogni tessera del puzzle andava sistemato con cautela. «Tra l'altro non era stato usato un fucile automatico, che espelle i bossoli», ha aggiunto Rossi. Il fucile. E' stato proprio questo uno degli elementi chiave su cui gli investigatori si sono concentrati. Quaglioni, infatti, il 26 dicembre, era andato dai carabinieri di Torpè: a loro aveva raccontato di essere stato rapinato di quel fucile poco prima di andare a caccia. Strano. Soprattutto perché erano passati solo quattro giorni dall'omicidio.

Ma gli investigatori non hanno avuto fretta. Hanno aspettato di raccogliere altri indizi, hanno sentito decine e decine di altre persone. Tra queste Andrea Faedda, della stessa compagnia di caccia di Quaglioni, che aveva fatto un racconto poco credibile su come avesse trascorso la giornata precedente all'omicidio. Qualcosa non tornava e la conferma, in questo caso, è arrivata anche dai tabulati telefonici. Tante, troppe prove compromettevano anche la sua posizione. E così, l'altro ieri, i carabinieri sono andati a prelevare nelle rispettive abitazioni sia Faedda (il giovane disoccupato, celibe, abita a Berchiddeddu) sia Quaglioni (sposato) che vive invece a Lu Stazzareddu, nell'agro di Ovilò. E' dall'abitazione di quest'ultimo che il mattino del 22 dicembre i due presunti responsabili dell'omicidio si sarebbero mossi. Faedda ha detto che sono usciti a piedi, quando era ancora buio, e che hanno camminato per almeno 45 minuti prima di raggiungere La Silvaredda. Poi si sono nascosti. E hanno aspettato. Prima di sparare.


giovedì 19 gennaio 2012

La caccia? Ci costerà un miliardo

La Commissione Europea potrebbe presto multare l'Italia a causa dei regolamenti venatori di Veneto, Liguria, Puglia e Lombardia, che violano la direttiva comunitaria e permettono di cacciare in periodi off limits.

E adesso chi lo racconta a Mario Monti? Sull'Italia sta per piovere un altro salasso da oltre un miliardo di euro. E' la maxi multa che la Commissione Europea ci comminerà presto. Motivo: le ripetute violazioni della direttiva Ue che regola la caccia agli uccelli selvatici.

Al centro della querelle giudiziaria ci sono le deroghe che le Regioni continuano a concedere ai cacciatori violando la Direttiva Uccelli, il testo europeo che regola i prelievi venatori dei volatili all'interno dell'Unione. Stavolta la bacchettata è arrivata a Liguria e Veneto. Genova ha varato un calendario di caccia che oltrepassa i limiti stabiliti dalla normativa, mentre il Veneto ha consentito ai cacciatori di abbattere anche in periodi off-limits. Motivo ufficiale: limitare i danni che i pennuti stavano arrecando all'agricoltura locale. Nel mirino anche Lombardia e Puglia, per gli stessi motivi.

I tempi sono strettissimi: la Commissione chiede una risposta entro un mese. Poi quasi certamente partirà il secondo deferimento e la definitiva condanna. Già, perché l'Italia ne aveva già subita una nell'estate del 2010. Allora, però, ci era bastato modificare di corsa la legge 157 – quella che regola la caccia in Italia – adeguandola ai parametri europei. Un compito che il Parlamento ha svolto solo a metà, visto che secondo la Commissione "diverse violazioni non sono ancora state corrette". In particolare, non è ancora in funzione "il dispositivo che consente al governo italiano di impedire che le regioni rilascino deroghe per la caccia in violazione della direttiva". Insomma, l'Italia potrebbe dare un colpo d'ascia alla doppietta facile, togliendo di mezzo tutto quel sottobosco di eccezioni che le Regioni concedono di continuo. Eppure nessuno ha ancora mosso un dito.

E il conto sta per arrivare. Si stima che la multa si possa aggirare tra i 10 e i 20 milioni di euro. La vera mazzata, però, è un'altra. E più che un volatile, sarebbe in grado di stendere un bisonte: l'Italia rischia una sanzione di 750.000 euro per ogni giorno in cui la direttiva è stata disattesa. Il calcolo partirebbe da metà 2008, l'anno in cui siamo stati deferiti per la prima volta. Totale: circa 1,2 miliardi di euro. La stima, non ancora confermata, basta a far tremare i polsi.

In molte regioni italiane la lobby della doppietta ha fatto proseliti. E non se ne sono accorti solo i giudici della corte europea. Negli ultimi giorni, infatti, i Tar competenti hanno bocciato alcuni provvedimenti firmati da Regione Lazio, Regione Veneto e provincia di Brescia in materia di caccia. Se per il Veneto il Consiglio di Stato ha rimesso in discussione la sentenza dei giudici regionali, negli altri due casi la situazione è molto più chiara.

La Regione Lazio, infatti, ha approvato il calendario venatorio senza tener conto delle raccomandazioni europee e, soprattutto, del parere dell'Ispra. Da quando l'Italia ha adeguato la legge alle direttive Ue nel 2010, infatti, le regioni devono chiedere il parere all'ente, che è obbligatorio ma non vincolante. Ma l'Ispra ha anche redatto una guida, uno strumento tecnico che, se ben utilizzato, consente di rispettare al 100% la direttiva europea. Tanto che, per la commissione europea, la guida ha un alto spessore scientifico e ci si deve attenere al suo dettato. Che, manco a dirlo, fissa limiti e paletti molto stringenti per salvaguardare la biodiversità della nostra fauna.

In Lombardia, invece, la materia del contendere è quello dei richiami vivi. Cosa sono? Uccelli che i cacciatori catturano perché cinguettino e richiamino altri uccelli, più ricercati e più difficili da trovare. Gli uccelli da richiamo vengono spesso catturati in quantità molto superiori al consentito, con metodi illeciti e sono trattati in maniera brutale: a volte vengono accecati. Il Tar della Lombardia ha sospeso l'autorizzazione della provincia di Brescia, che non rispetta i limiti imposti dall'Europa e non ha chiamato in causa l'Ispra.

Per favorire i cacciatori, alcune regioni ricorrono a un trucco piuttosto semplice. Al posto di un normale atto amministrativo, impugnabile al Tar, basta approvare una legge regionale. "Anche queste leggi possono essere impugnate, ma deve farlo il Governo di fronte alla Corte Costituzionale, e i tempi si allungano: la decisione può arrivare anche l'anno successivo. Nel frattempo le doppiette sono già entrate in azione indisturbate" spiega l'avvocato Valentina Stefutti, coordinatrice editoriale della rivista Diritto all'ambiente e curatrice del ricorso al Tar del Lazio. Quando si parla di caccia i consigli regionali possono essere estremamente determinati. La Lombardia è un esempio: la sua legge era stata bocciata dalla Consulta? Bene, il giorno seguente ne ha approvata una quasi identica. Quella che oggi l'esecutivo Monti tenta di nuovo di disinnescare.

lunedì 16 gennaio 2012

Milano. Cacciatori affidano i loro cani ad un lager

Scoperta una «prigione» per cani
Erano malnutriti, feriti e spaventati

l proprietario si difende: «Solo uno era mio. Gli altri li tenevo qui per i cacciatori»

MILANO - Un cane viene lanciato da un'auto in corsa in via Virgilio Ferrari, periferia sud di Milano, tra Ripamonti e via dei Missaglia. È l'alba del 7 gennaio, la foschia densa avvolge questa periferia dove la città diventa campagna. Un testimone s'avvicina a quel fagotto, lo raccoglie e lo porta al canile sanitario. È un grosso cane, labrador incrocio corso. Ha ferite profonde e purulente sul volto, una zampa anteriore fratturata, sull'altra un taglio che scopre l'osso, è deperito. I veterinari della Asl lo curano. Nero, questo il suo nome, viene anche adottato. Ma l'esame del suo microchip, quello messo dalla Asl un anno prima, durante un controllo tra campi rom, demolitori, raccoglitori, che sorgono in via Selvanesco, indecorosa porta d'ingresso nel Parco Agricolo Sud, fa scattare un'indagine.
     
Nei giorni scorsi la polizia locale - unità cinofile, nucleo investigativo scientifico e nucleo specialistico emergenze - di supporto ai veterinari solleva così il coperchio su una situazione ai limiti della legalità. Nessuna traccia del romeno, proprietario di Nero. Nello spazio - stretto tra un campo rom e una discarica abusiva di rifiuti - dove un privato raccoglie, smantella e riassembla bancali di legno, vivevano altri due cani, i fratelli di Nero. Di uno s'è persa ogni traccia. Il terzo viene preso in consegna e portato al canile.

Non è finita, perché duecento metri più in là, dietro un'altra palizzata di lamiere e ferro, di cani ce ne sono altri. Sette bracchi, alcuni anziani, altri più giovani ma in condizioni molto precarie. Una pensione lager. L'uomo che apre il cancello agli uomini in divisa si giustifica: «Solo uno è mio, li tengo qui per dei cacciatori». La gabbie hanno fili di ferro che sporgono, il terreno attorno è un tappeto di escrementi. Le cucce sono fatiscenti. Non c'è protezione sufficiente da intemperie d'inverno, dal caldo dell'estate. Il privato può tenersi i suoi cani, ma gli altri andranno restituiti ai proprietari. La Asl dà indicazioni sugli interventi da fare per garantire la salute e il benessere degli animali. E tornerà a distanza per controllare che siano state eseguite.

«Quelle lesioni possono essere molte cose - dice Rosario Fico, direttore del Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria, in prima linea nei delitti contro gli animali - . Non curarlo se ha una patologia come queste, evidente a occhio nudo, è maltrattamento». Concorda sul fatto che la definizione del benessere animale debba essere aggiornata l'istruttore cinofilo Daniele Mazzini: «Attualmente è una definizione che si presta ad interpretazioni eccessivamente distanti le une dalle altre. E l'omissione di una dovuta visita presso il veterinario per la cura di una ferita non può considerarsi lontana da un maltrattamento diretto e volontario».

sabato 14 gennaio 2012

Caccia nel Lazio: DIFFIDA per il prolungamento al 10 febbraio

"Il prolungamento al 10 febbraio è una vergogna che non accettiamo!"

La decisione di prolungare al 10 febbraio, un allungamento di dieci giorni, la chiusura della caccia nel Lazio, costituisce un inaccettabile regalo al mondo venatorio: l'ennesima concessione alle doppiette.

"E' uno scandalo che non possiamo tollerare e per questo diffidiamo l'assessore alle politiche agricole Birindelli affinché faccia un passo indietro. Questo è un incitamento a bracconare dal momento che la vigilanza è quanto mai scarsa e insufficiente a garantire gli indispensabili controlli" dichiara Daniela Casprini presidente dell'Associazione Vittime della Caccia.

"La decisione è tanto più grave, visto che non sono stati coinvolti nè il Comitato Faunistico Venatorio, nè l'Ispra", aggiunge Daniela Casprini.

"Scelte scellerate come questa, dimostrano ulteriormente quanto anche la giunta Polverini sia supina agli interessi delle doppiette ed estranea a quelli generali di sicurezza dei cittadini, che anche nel Lazio lamentano una presenza di gente armata sul territorio intollerabile e una scarsa vigilanza da parte dei corpi preposti" precisa ancora Daniela Casprini che conclude "di regali ai cacciatori siamo davvero stufi, è ora di tenere conto delle istanze più sacrosante della maggioranza dei cittadini che di caccia e conseguenti allungamenti dei calendari venatori non ne possono più, dal momento che la subiscono già per cinque mesi all'anno nonostante non ne vogliano sapere".


martedì 10 gennaio 2012

Sardegna: Proroga della caccia nonostante il provvedimento del Consiglio di Stato

Comunicato stampa del 08 gennio 2012

Le associazioni ecologiste Lega per l’Abolizione della Caccia, Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico hanno provveduto (8 gennaio 2012) a inoltrare ricorso alla Commissione Europea perché verifichi il rispetto delle direttive comunitarie in materia di tutela della fauna selvatica (in particolare della direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica) da parte del decreto dell’Assessore regionale della Difesa dell’Ambiente che ha regalato altre tre giornate di caccia all’avifauna migratrice (Tordo bottaccio, Cesena, Tordo sassello).
La vicenda è stata, inoltre, segnalata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari e alla Procura regionale della Corte dei conti per la Sardegna per gli eventuali estremi penali ed erariali.
Sarà cura, una volta acquisiti i verbali del Comitato faunistico regionale relativi alle votazioni inerenti le proroghe, integrare le segnalazioni.
Si ricorda, infatti, che, su ricorso di varie associazioni ambientaliste e animaliste, il Consiglio di Stato, con ordinanza Sez. V, 21 dicembre 2011, n. 9460, aveva disposto la sospensiva del calendario venatorio regionale sardo riformando l’ordinanza cautelare T.A.R. Sardegna, Sez. II, 14 novembre 2011, n. 452.
Eppure, ancora una volta senza acquisire l’obbligatorio e cogente parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A., già I.N.F.S.)[1] previsto per legge (artt. 7 e 18 della legge n. 157/1992 e s.m.i.), la Regione autonoma della Sardegna ha emanato prima il decreto Assessore Difesa Ambiente n. 29968/DecA/44 del 23 dicembre 2011 (in B.U.R.A.S. n. 38, parti I e II, del 29 dicembre 2011) e poi il decreto Assessore Difesa Ambiente n. 131/DecA/10 del 4 gennaio 2012 (in B.U.R.A.S. n. 1, parti I e II, del 7 gennaio 2012).
L’effettuazione di censimenti faunistici approfonditi e veritieri, la responsabilizzazione dei cacciatori attraverso il legame con un solo territorio di caccia con la predisposizione degli ambiti territoriali di caccia (A.T.C.), come in tutta Italia, il blocco della caccia a specie ormai palesemente rarefatte (es. lepre, Pernice sarda) sarebbero i primi fondamentali passi per rendere meno indecente questa caccia in Sardegna.
Ma di questo non se ne vuole nemmeno parlare e la Regione autonoma della Sardegna segue la piazza venatoria, ignorando anche i provvedimenti giurisdizionali.   Ora basta.

Piemonte: si vuole impedire ai cittadini di votare il referendum regionale contro la caccia

Comunicato stampa del 09 gennaio 2012

Dopo ben 24 anni di battaglie legali, il 29 dicembre del 2010 la Corte d’Appello del Tribunale di Torino aveva riconosciuto le ragioni del Comitato Promotore e aveva ordinato alla Regione Piemonte di riavviare l’iter del referendum regionale contro la caccia, illegittimamente sospeso dalla Regione Piemonte. Si dovrebbe votare in una domenica compresa tra la metà di aprile e la metà di giugno del 2012. Solo una legge che recepisse interamente le istanze referendarie (protezione per 15 specie selvatiche, divieto di caccia la domenica, divieto di caccia su terreno coperto da neve, abolizione dei privilegi concessi alle aziende faunistiche private) potrebbe impedire l’esercizio del voto.
Sembrava che nulla potesse più impedire il democratico esercizio del voto e invece l’Assessore regionale alla caccia, Claudio Sacchetto, oggi, in III Commissione, ha trovato il modo di sospendere temporaneamente la democrazia.
Ha presentato un emendamento ad una propria proposta di legge, il quale abroga per intero l’attuale legge regionale 70/96.
Abolita la legge, abolito il referendum.
Ma come fa il Piemonte a stare senza una legge regionale che regola la caccia?
“All’Assessore Sacchetto probabilmente questo non interessa perché rimarrebbe sempre vigente la legge quadro nazionale n. 157/1992” ha dichiarato Roberto Piana del Comitato Promotore del Referendum. ”Probabilmente conta, dopo il 15 giugno di far approvare dal Consiglio regionale una legge che restauri lo status quo ante, magari anche con qualche regalo in più ai cacciatori”.
“Tra l’altro, la legge nazionale è molto più permissiva di quella regionale, per cui l’iniziativa di Sacchetto va nella direzione opposta a quella del referendum. In uno stato democratico una proposta del genere sarebbe stata rinviata al mittente e l’autore sarebbe stato invitato a fare le valigie e a cercare lavoro altrove” ha aggiunto Piero Belletti.

Per il Comitato Promotore del Referendum regionale contro la caccia
Piero Belletti
Roberto Piana

COMITATO PROMOTORE DEL REFERENDUM REGIONALE CONTRO LA CACCIA
C/O PRO NATURA
Via Pastrengo 13 – 10128 Torino
Cell. 348 3991623  - 347 6639963

domenica 8 gennaio 2012

Forlì. Muore per un colpo di fucile alla testa

Aveva appena concluso una battuta di caccia con un gruppo di amici. Dal suo fucile sarebbe partito accidentalmente un colpo. La vittima è Evandro Guardigli, un idraulico di 65 anni

Forlì, 7 gennaio 2012 - Un uomo è morto per un colpo di fucile alla testa a Montalto di Premilcuore, sull'Appennino forlivese, verso le 12.30.
La vittima, Evandro Guardigli, idraulico di 65 anni, viveva a Forlì, era sposato, aveva una figlia. Aveva appena finito una battuta di caccia nell'Appennino di Premilcuore con un gruppo di amici ed era salito in auto con due di loro per andare a pranzo. Secondo la ricostruzione delle forze di polizia, dal suo fucile sarebbe partito accidentalmente un colpo. L'uomo è rimasto ferito alla testa e non ha avuto scampo.
Sempre secondo la ricostruzione, Guardigli si e’ seduto a fianco del guidatore tenendo il fucile fra le gambe, dopo avere estratto il caricatore, ma non si e’ accorto di avere lasciato un colpo in canna: nel sistemarsi sul sedile deve avere inavvertitamente urtato il grilletto, provocando lo sparo. Il colpo (la caccia al cinghiale prevede cartucce a pallettoni) lo ha centrato al capo, uccidendolo sul colpo. Quando e’ arrivato l’elicottero del 118 da Ravenna per lui pero’ non c’era piu’ niente da fare. Il corpo e’ stato trasportato all’obitorio dell’ospedale di Forli’, a disposizione della magistratura.

sabato 7 gennaio 2012

Pescara. Spari dalla collina, donna ferita



PESCARA. Colpita da un pallino da caccia mentre stende i panni sul balcone di casa. Succede a Pescara, in via Fontanelle, a Colle Orlando, dove una donna ha rischiato di perdere un occhio.  «È un rischio che non vogliamo più correre», protesta Claudio Angelucci, il marito della donna di 49 anni che mercoledì mattina, per quel pallino, è finita in ospedale.  «Questa volta alla fine non è successo nulla di grave», prosegue Angelucci, «ma bastava che quel pallino la colpisse appena più sotto e ora aveva perso un occhio. E poi, a parte questo, qui è pieno di bambini, solo a casa mia ce ne sono quattro, dagli undici anni fino ai due mesi. Non si può andare avanti in questo modo. Perché gli spari, nei terreni che abbiamo di fronte a casa nostra, sono all'ordine del giorno».  Secondo quanto riferito dalla moglie al poliziotto che ha raccolto la sua denuncia contro ignoti, alle dieci di mercoledì mattina, mentre stendeva la biancheria sul balcone di casa (l'ultima dopo il serbatoio dell'acquedotto, 500 metri dopo la chiesa di San Pietro martire), avrebbe udito due colpi da sparo. «Era uno sparo tipico dei fucili da caccia», precisa Lorena Giannandrea, «quando mi sono sentita arrivare al volto alcuni frammenti dei pallini esplosi». Parla di cacciatori la donna perchè, come ha riferito lei stessa nella sua denuncia, in concomitanza dell'episodio ha visto sulla collina «due individui con un cane da caccia di colore scuro al seguito».  «Mia moglie», interviene il marito, «neanche ci credeva che poteva essere successa una cosa del genere. Poi si è messa a strillare, ha chiamato la polizia ed è arrivata l'ambulanza». Al pronto soccorso la donna viene giudicata guaribile in cinque giorni dai medici che le riscontrano una piccola ferita alla regione frontale destra.  «In un primo tempo», precisa Angelucci, «si temva che alcuni pallini le si fossero conficcati in fronte, poi per fortuna non era così, ma resta comunque una cosa assurda. Perché succede spesso che da quelle parti vengano a sparare, ma non si può andare avanti così. Questa volta, ripeto, non è successo niente, ma già se la colpivano più sotto a quest'ora non ci vedeva più. Chiediamo che si trovi un rimedio per arginare questa cosa. Ci vorrebbero più controlli», prosegue, «ma so che è assurdo chiederlo perchè gli spari si sentono a tutte le ore, ma non possiamo continuare a rischiare che ci sparino addosso».  A dargli ragione è la legge 157 del '92 che all'articolo 21 vieta la caccia nel raggio di cento metri da immobili e a distanza inferiore di 50 metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade. Pena, sanzioni da 103 a 619 euro (da 259 a 1.549 in caso di recidiva).  Regole che, come tiene a precisare il capitano Mirco Verzieri della polizia provinciale, «i cacciatori conoscono bene e rispettano. Evidentemente, nel caso specifico, è qualcuno che le regole non le conosce proprio».  Qualcuno che, a giudicare dal ferimento della donna, deve aver sparato da meno di cento metri di distanza: «La rosata usata dai cacciatori», spiega Verzieri, «è composta da centinaia di micropallini che dopo i 30 metri perdono di consistenza: il getto, che arriva anche a 150 metri, a quel punto non può provocare nè ferite nè altro».


Colpita da un pallino vicino all'occhio mentre stende i panni

Cacciatore di cinghiali si spara agli arti nel Volterrano

Cacciatore di cinghiali si spara agli arti nel Volterrano

VOLTERRA (PISA), 7 GEN - Un uomo si e' sparato accidentalmente con il suo fucile durante una battuta di caccia al cinghiale nelle vicinanze di Volterra (Pisa) ferendosi a un ginocchio e a una mano. Secondo quanto spiegato dai carabinieri, il fatto e' accaduto in un bosco in localita' Luppiano, vicino a Mazzolla, nel Volterrano. Il ferito ha 51 anni, abita a Pisa e al momento dell'incidente si trovava insieme ad altri cacciatori. E' stato trasportato con l'elicottero all'ospedale di Pisa. Secondo i medici del 188 le condizioni del cacciatore non sarebbero gravi.

(ANSA)

martedì 3 gennaio 2012

Siena. Cacciatore spara a due aironi

Cacciatore spara a due aironi: rischia condanna a 8 mesi
Colto in flagrante da una guardia volontaria del WWF

Lo scorso giovedì mattina un cacciatore ha sparato a due aironi guardabuoi (uccelli della specie Bubulcus ibis) uccidendo il primo e ferendo gravemente il secondo. Il bracconiere è stato colto in flagrante da una guardia volontaria del WWF in perlustrazione nella zona di Scarna, nel Comune di Colle Val d'Elsa (SI). La guardia è intervenuta non appena ha assistito alle manovre del cacciatore, il quale dopo aver abbattuto i due uccelli si affrettava a recuperarli ed imbustarli, nonostante uno dei due animali fosse ancora vivo. La Polizia Provinciale, immediatamente allertata, ha proceduto al sequestro degli animali e del fucile, denunciando il cacciatore per abbattimento di animali protetti, illecito penale per cui è prevista condanna fino a 8 mesi di carcere e una ammenda di 2000 euro.
Gli aironi guardabuoi (foto in allegato) sono uccelli dal becco giallo e dal caratteristico piumaggio bianco, inconfondibili con altre specie cacciabili. Sono uccelli tutelati dalla convenzione europea di Berna sugli uccelli, recepita dallo Stato Italiano nel 1981 e attuata con la Legge nazionale per la protezione della fauna selvatica omeoterma (Legge 157 dell'11 febbraio 1992), meglio conosciuta come "legge sulla caccia", che dovrebbe essere non solo ben conosciuta ma anche alla base dell'operato di tutto il mondo venatorio.
In provincia di Siena non è raro avvistare aironi guardabuoi: la specie è in espansione in tutta l'Europa meridionale e da qualche tempo anche nel territorio senese se ne trovano gruppi di individui in cerca di cibo nei campi con bestiame al pascolo o dietro ai trattori in aratura, intenti a ricercare insetti e altri invertebrati del suolo, parassiti del bestiame al pascolo e piccoli rettili e mammiferi. E' un airone coloniale, che nidifica su alberi di media grandezza o in boschetti in aree di pianura.
Il WWF condanna questo episodio inaccettabile, che testimonia quanto sia ancora oggi diffuso un sentimento di disprezzo totale verso la natura e le sue forme di vita, anche quando queste si manifestano nelle loro espressioni più belle e meno comuni.

Fonte: comunicato stampa WWF Toscana del 03 gennaio 2012

domenica 1 gennaio 2012

"Fenicotteri pericolosi? Semmai un ostacolo alla caccia"

E' polemica tra cacciatori e Protezione Animali, dopo le dichiarazioni del presidente di Acer Miccoli che ha definito la fauna selvatica – anche quella particolarmente protetta – un “problema che va affrontato”.
“Anzitutto, ricordiamo come daini, cinghiali, caprioli e molti altri animali siano stati acquistati a caro prezzo come capi pronto caccia proprio dal mondo venatorio, e reinseriti per avere più fauna a cui sparare. Riteniamo assolutamente ridicolo che proprio chi, con la pratica del ripopolamento, ha contribuito a causare squilibri ambientali con i conseguenti, presunti, danni causati dagli animali, sia ancora chiamato a dire la propria” commenta il Presidente dell’Enpa di Ravenna dott. Carlo Locatelli. “La legge nazionale 157/92, nata per proteggere la biodiversità e per regolamentare la concessione della caccia, già detta le possibili soluzioni: vi sono numerosissimi strumenti, come i metodi ecologici ed incruenti, che, come dice chiaramente la legge devono essere prioritari a qualsiasi forma di abbattimento. Tali strumenti devono essere proposti e verificati dall’ISPRA, l’istituto scientifico di riferimento per il nostro paese anche nei confronti dell’Unione Europea. Inoltre, la legge 157 non contempla neanche il coinvolgimento del mondo venatorio in merito alla gestione faunistica”.
E sui fenicotteri? “La verità per cui i cacciatori accusano questi animali di creare gravi danni e di essere pericolosi – non si sa con quali motivazioni scientifiche e di quali istituti – è che sono un ostacolo per l’attività di caccia. Infatti, occupano aree umide che sono particolarmente ambite anche da altra fauna di interesse venatorio, come gli anatidi. Ma la loro presenza impedisce di fatto la caccia, non solo per questione di visibilità ma anche perché i cacciatori sanno benissimo che la presenza di questi splendidi uccelli non è compatibile con l’uso delle doppiette : il disturbo biologico ai danni di una specie particolarmente protetta dal nostro sistema legislativo sarebbe certamente un motivo più che valido per chiudere la caccia in quelle zone, pena la violazione delle direttive comunitarie con possibili procedure d’infrazione e multe elevate”.