La Commissione Europea potrebbe presto multare l'Italia a causa dei regolamenti venatori di Veneto, Liguria, Puglia e Lombardia, che violano la direttiva comunitaria e permettono di cacciare in periodi off limits.
E adesso chi lo racconta a Mario Monti? Sull'Italia sta per piovere un altro salasso da oltre un miliardo di euro. E' la maxi multa che la Commissione Europea ci comminerà presto. Motivo: le ripetute violazioni della direttiva Ue che regola la caccia agli uccelli selvatici.
Al centro della querelle giudiziaria ci sono le deroghe che le Regioni continuano a concedere ai cacciatori violando la Direttiva Uccelli, il testo europeo che regola i prelievi venatori dei volatili all'interno dell'Unione. Stavolta la bacchettata è arrivata a Liguria e Veneto. Genova ha varato un calendario di caccia che oltrepassa i limiti stabiliti dalla normativa, mentre il Veneto ha consentito ai cacciatori di abbattere anche in periodi off-limits. Motivo ufficiale: limitare i danni che i pennuti stavano arrecando all'agricoltura locale. Nel mirino anche Lombardia e Puglia, per gli stessi motivi.
I tempi sono strettissimi: la Commissione chiede una risposta entro un mese. Poi quasi certamente partirà il secondo deferimento e la definitiva condanna. Già, perché l'Italia ne aveva già subita una nell'estate del 2010. Allora, però, ci era bastato modificare di corsa la legge 157 – quella che regola la caccia in Italia – adeguandola ai parametri europei. Un compito che il Parlamento ha svolto solo a metà, visto che secondo la Commissione "diverse violazioni non sono ancora state corrette". In particolare, non è ancora in funzione "il dispositivo che consente al governo italiano di impedire che le regioni rilascino deroghe per la caccia in violazione della direttiva". Insomma, l'Italia potrebbe dare un colpo d'ascia alla doppietta facile, togliendo di mezzo tutto quel sottobosco di eccezioni che le Regioni concedono di continuo. Eppure nessuno ha ancora mosso un dito.
E il conto sta per arrivare. Si stima che la multa si possa aggirare tra i 10 e i 20 milioni di euro. La vera mazzata, però, è un'altra. E più che un volatile, sarebbe in grado di stendere un bisonte: l'Italia rischia una sanzione di 750.000 euro per ogni giorno in cui la direttiva è stata disattesa. Il calcolo partirebbe da metà 2008, l'anno in cui siamo stati deferiti per la prima volta. Totale: circa 1,2 miliardi di euro. La stima, non ancora confermata, basta a far tremare i polsi.
In molte regioni italiane la lobby della doppietta ha fatto proseliti. E non se ne sono accorti solo i giudici della corte europea. Negli ultimi giorni, infatti, i Tar competenti hanno bocciato alcuni provvedimenti firmati da Regione Lazio, Regione Veneto e provincia di Brescia in materia di caccia. Se per il Veneto il Consiglio di Stato ha rimesso in discussione la sentenza dei giudici regionali, negli altri due casi la situazione è molto più chiara.
La Regione Lazio, infatti, ha approvato il calendario venatorio senza tener conto delle raccomandazioni europee e, soprattutto, del parere dell'Ispra. Da quando l'Italia ha adeguato la legge alle direttive Ue nel 2010, infatti, le regioni devono chiedere il parere all'ente, che è obbligatorio ma non vincolante. Ma l'Ispra ha anche redatto una guida, uno strumento tecnico che, se ben utilizzato, consente di rispettare al 100% la direttiva europea. Tanto che, per la commissione europea, la guida ha un alto spessore scientifico e ci si deve attenere al suo dettato. Che, manco a dirlo, fissa limiti e paletti molto stringenti per salvaguardare la biodiversità della nostra fauna.
In Lombardia, invece, la materia del contendere è quello dei richiami vivi. Cosa sono? Uccelli che i cacciatori catturano perché cinguettino e richiamino altri uccelli, più ricercati e più difficili da trovare. Gli uccelli da richiamo vengono spesso catturati in quantità molto superiori al consentito, con metodi illeciti e sono trattati in maniera brutale: a volte vengono accecati. Il Tar della Lombardia ha sospeso l'autorizzazione della provincia di Brescia, che non rispetta i limiti imposti dall'Europa e non ha chiamato in causa l'Ispra.
Per favorire i cacciatori, alcune regioni ricorrono a un trucco piuttosto semplice. Al posto di un normale atto amministrativo, impugnabile al Tar, basta approvare una legge regionale. "Anche queste leggi possono essere impugnate, ma deve farlo il Governo di fronte alla Corte Costituzionale, e i tempi si allungano: la decisione può arrivare anche l'anno successivo. Nel frattempo le doppiette sono già entrate in azione indisturbate" spiega l'avvocato Valentina Stefutti, coordinatrice editoriale della rivista Diritto all'ambiente e curatrice del ricorso al Tar del Lazio. Quando si parla di caccia i consigli regionali possono essere estremamente determinati. La Lombardia è un esempio: la sua legge era stata bocciata dalla Consulta? Bene, il giorno seguente ne ha approvata una quasi identica. Quella che oggi l'esecutivo Monti tenta di nuovo di disinnescare.
Al centro della querelle giudiziaria ci sono le deroghe che le Regioni continuano a concedere ai cacciatori violando la Direttiva Uccelli, il testo europeo che regola i prelievi venatori dei volatili all'interno dell'Unione. Stavolta la bacchettata è arrivata a Liguria e Veneto. Genova ha varato un calendario di caccia che oltrepassa i limiti stabiliti dalla normativa, mentre il Veneto ha consentito ai cacciatori di abbattere anche in periodi off-limits. Motivo ufficiale: limitare i danni che i pennuti stavano arrecando all'agricoltura locale. Nel mirino anche Lombardia e Puglia, per gli stessi motivi.
I tempi sono strettissimi: la Commissione chiede una risposta entro un mese. Poi quasi certamente partirà il secondo deferimento e la definitiva condanna. Già, perché l'Italia ne aveva già subita una nell'estate del 2010. Allora, però, ci era bastato modificare di corsa la legge 157 – quella che regola la caccia in Italia – adeguandola ai parametri europei. Un compito che il Parlamento ha svolto solo a metà, visto che secondo la Commissione "diverse violazioni non sono ancora state corrette". In particolare, non è ancora in funzione "il dispositivo che consente al governo italiano di impedire che le regioni rilascino deroghe per la caccia in violazione della direttiva". Insomma, l'Italia potrebbe dare un colpo d'ascia alla doppietta facile, togliendo di mezzo tutto quel sottobosco di eccezioni che le Regioni concedono di continuo. Eppure nessuno ha ancora mosso un dito.
E il conto sta per arrivare. Si stima che la multa si possa aggirare tra i 10 e i 20 milioni di euro. La vera mazzata, però, è un'altra. E più che un volatile, sarebbe in grado di stendere un bisonte: l'Italia rischia una sanzione di 750.000 euro per ogni giorno in cui la direttiva è stata disattesa. Il calcolo partirebbe da metà 2008, l'anno in cui siamo stati deferiti per la prima volta. Totale: circa 1,2 miliardi di euro. La stima, non ancora confermata, basta a far tremare i polsi.
In molte regioni italiane la lobby della doppietta ha fatto proseliti. E non se ne sono accorti solo i giudici della corte europea. Negli ultimi giorni, infatti, i Tar competenti hanno bocciato alcuni provvedimenti firmati da Regione Lazio, Regione Veneto e provincia di Brescia in materia di caccia. Se per il Veneto il Consiglio di Stato ha rimesso in discussione la sentenza dei giudici regionali, negli altri due casi la situazione è molto più chiara.
La Regione Lazio, infatti, ha approvato il calendario venatorio senza tener conto delle raccomandazioni europee e, soprattutto, del parere dell'Ispra. Da quando l'Italia ha adeguato la legge alle direttive Ue nel 2010, infatti, le regioni devono chiedere il parere all'ente, che è obbligatorio ma non vincolante. Ma l'Ispra ha anche redatto una guida, uno strumento tecnico che, se ben utilizzato, consente di rispettare al 100% la direttiva europea. Tanto che, per la commissione europea, la guida ha un alto spessore scientifico e ci si deve attenere al suo dettato. Che, manco a dirlo, fissa limiti e paletti molto stringenti per salvaguardare la biodiversità della nostra fauna.
In Lombardia, invece, la materia del contendere è quello dei richiami vivi. Cosa sono? Uccelli che i cacciatori catturano perché cinguettino e richiamino altri uccelli, più ricercati e più difficili da trovare. Gli uccelli da richiamo vengono spesso catturati in quantità molto superiori al consentito, con metodi illeciti e sono trattati in maniera brutale: a volte vengono accecati. Il Tar della Lombardia ha sospeso l'autorizzazione della provincia di Brescia, che non rispetta i limiti imposti dall'Europa e non ha chiamato in causa l'Ispra.
Per favorire i cacciatori, alcune regioni ricorrono a un trucco piuttosto semplice. Al posto di un normale atto amministrativo, impugnabile al Tar, basta approvare una legge regionale. "Anche queste leggi possono essere impugnate, ma deve farlo il Governo di fronte alla Corte Costituzionale, e i tempi si allungano: la decisione può arrivare anche l'anno successivo. Nel frattempo le doppiette sono già entrate in azione indisturbate" spiega l'avvocato Valentina Stefutti, coordinatrice editoriale della rivista Diritto all'ambiente e curatrice del ricorso al Tar del Lazio. Quando si parla di caccia i consigli regionali possono essere estremamente determinati. La Lombardia è un esempio: la sua legge era stata bocciata dalla Consulta? Bene, il giorno seguente ne ha approvata una quasi identica. Quella che oggi l'esecutivo Monti tenta di nuovo di disinnescare.
Nessun commento:
Posta un commento