sabato 21 gennaio 2012

Olbia. Ucciso per litigi di caccia

Faedda confessa e accusa Quaglioni: "L'abbiamo ucciso per litigi di caccia"

Il delitto di Ovilò. L’agguato a Domenico Molino per il pm Rossi è una questione di balentìa: «Colpito come un cinghiale». Disoccupato di Berchiddeddu confessa e accusa un escavatorista di Loiri di aver sparato

OLBIA. «Siamo andati lì per ucciderlo». Andrea Faedda, 36 anni, disoccupato di Berchiddeddu, è crollato. E ha confessato a carabinieri e magistrato di aver raggiunto La Silvaredda, campagna di Ovilò, con Antonello Quaglioni, 59 anni, un escavatorista di quelle parti. Lì hanno aspettato Domenico Molino e, secondo l'accusa, l'hanno ammazzato con due fucilate tra le 7 e le 7.30 del 22 dicembre scorso. «Per dissidi di caccia», avrebbe raccontato Faedda. A sparare non sarebbe stato Faedda. «Io - avrebbe detto - sono rimasto nascosto. Ho sentito il primo colpo, poi, a distanza di qualche secondo, l'altro». Secondo la sua versione, quindi, i colpi sarebbero partiti dal fucile di Quaglioni. Riccardo Rossi, magistrato di Tempio incaricato di seguire le indagini del delitto dal procuratore Mario D'Onofrio, ieri era a Olbia per ufficializzare che «il caso è chiuso».

E non per fortuna, ma al termine di indagini svolte dai carabinieri del reparto territoriale alla vecchia maniera («parlando con la gente»), poi supportate dagli aiuti tecnici e scientifici. Ed ecco i due arresti, 25 giorni dopo il delitto: Quaglioni e Faedda sono accusati di omicidio premeditato in concorso tra loro con l'aggravante dei futili motivi. «Perché il movente - ha precisato Rossi - è legato a questioni di balentìa nell'ambito dell'attività venatoria. Una vera e propria esecuzione, col colpo di grazia finale. La prima fucilata ha raggiunto Molino all'addome. La seconda alla schiena, sparata in un secondo momento, è stata esplosa da un punto più alto. Chi ha premuto il grilletto, lo ha fatto come se stesse uccidendo un cinghiale». I presunti assassini sono in cella (il più giovane a Tempio, l'altro a Sassari): oggi è prevista la convalida. Ieri la conferenza stampa. Oltre al sostituto procuratore Rossi, c'erano il comandante provinciale dei carabinieri Francesco Atzeni, il colonnello Nicola Lorenzon e il capitano Alessandro Dominici del reparto territoriale, oltre al luogotenente Gesuino Seu della stazione di Olbia centro.

Ha detto Rossi: «Il lavoro dei carabinieri è stato meticoloso, puntuale, rigoroso. Questo caso, rimasto caldo sino a quando si è concluso, non era facile. Il 22 dicembre, sul luogo del delitto, non c'erano tracce evidenti che potessero aiutare». Non solo. Tutte le persone che conoscevano bene Domenico Molino, lo hanno sempre definito come una persona assolutamente tranquilla e onesta, un padre e un marito meraviglioso, un buon compagno di caccia. Tutto era da ricostruire, dunque, ogni tessera del puzzle andava sistemato con cautela. «Tra l'altro non era stato usato un fucile automatico, che espelle i bossoli», ha aggiunto Rossi. Il fucile. E' stato proprio questo uno degli elementi chiave su cui gli investigatori si sono concentrati. Quaglioni, infatti, il 26 dicembre, era andato dai carabinieri di Torpè: a loro aveva raccontato di essere stato rapinato di quel fucile poco prima di andare a caccia. Strano. Soprattutto perché erano passati solo quattro giorni dall'omicidio.

Ma gli investigatori non hanno avuto fretta. Hanno aspettato di raccogliere altri indizi, hanno sentito decine e decine di altre persone. Tra queste Andrea Faedda, della stessa compagnia di caccia di Quaglioni, che aveva fatto un racconto poco credibile su come avesse trascorso la giornata precedente all'omicidio. Qualcosa non tornava e la conferma, in questo caso, è arrivata anche dai tabulati telefonici. Tante, troppe prove compromettevano anche la sua posizione. E così, l'altro ieri, i carabinieri sono andati a prelevare nelle rispettive abitazioni sia Faedda (il giovane disoccupato, celibe, abita a Berchiddeddu) sia Quaglioni (sposato) che vive invece a Lu Stazzareddu, nell'agro di Ovilò. E' dall'abitazione di quest'ultimo che il mattino del 22 dicembre i due presunti responsabili dell'omicidio si sarebbero mossi. Faedda ha detto che sono usciti a piedi, quando era ancora buio, e che hanno camminato per almeno 45 minuti prima di raggiungere La Silvaredda. Poi si sono nascosti. E hanno aspettato. Prima di sparare.


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