lunedì 25 giugno 2012

Agrigento: 500 mila euro per vigilanza venatoria. Inesistente.

Provincia, guerra ai bracconieri: 500mila euro per la polizia venatoria

La Provincia regionale di Agrigento ha un'anima ecologista. Al di là di battute e semplici insinuazioni, noi abbiamo la prova di quello che stiamo affermando. Carta canta, come si suol dire.

Come definireste infatti un Ente che impegna, nel proprio bilancio di previsione 2012 500mila euro per "spese di attività di vigilanza venatoria"?

Sfogliando il Peg dello strumento finanziario, infatti, emerge che su una spesa di 1.372.866 euro per il capitolo P1 - poliziaprovinciale, per il funzionamento dell'intero corpo, se si sottraggono le somme necessarie per la retribuzione ordinaria (597.954 euro), senza considerare gli oneri, che da soli superano i 150mila euro, si capisce quale è la proporzione tra quanto verrà impegnato complessivamente e quanto si vuole spendere per l'attività di vigilanza venatoria.

Eppure, scorrendo le pagine dedicate alla Polizia provinciale sul sito della Provincia regionale di Agrigento, e consultando i report dell'attività svolta (primo semestre 2011 e anno 2010) non vi è proprio traccia di questo tipo di funzione di controllo. Al massimo, avendo incarichi di polizia ambientale, sono state avanzate contravvenzioni per violazioni del decreto legislativo 152/2006, che riguarda genericamente l'abbandono dei rifiuti. Fitta è invece la parte dedicata alle attività di scorta del presidente D'Orsi e delle personalità pubbliche, oltre che, non va dimenticato, del Gonfalone della Provincia, e la presenza della Polizia provinciale durante le manifestazioni pubbliche. Ma di polizia venatoria nemmeno una traccia. Nemmeno, magari, il salvataggio di un passerotto caduto da un nido. Niente. Eppure la voce di bilancio c'è, e 500mila euro in tempi di vacche magre non sono uno scherzo. Bisogna risalire al 2009 per trovare un riferimento ad attività di polizia ittico - venatoria, intesa però come semplice controllo di aree specifiche come: il bacino del Lago Arancio, il Castellaccio, la foce del Platani, Torre Salsa, Maccalube, Monte Cammarata, Monte Mele e le grotte di Sant'Angelo. Sempre per quanto riguarda l'anno 2009, si legge: "il servizio di Polizia Venatoria è stato disposto con due pattuglie, rispettivamente composte da numero 2 o 3 agenti a seconda le necessità di servizio, i quali hanno operato separatamente, sia nel turno antimeridiano 8 - 14 che nel turno pomeridiano 14 - 20 di tutti i giorni feriali nonché con turni notturni per reprimere il fenomeno del bracconaggio".

Tra i vantaggi enumerati vi sono: "garantire una maggiore presenza degli agenti nel territorio provinciale, a discapito di eventuali attività di bracconaggio esercitata attraverso l'impiego richiami, trappole, appostamenti; il controllo sul corretto comportamento e rispetto della normativa di settore da parte dei cacciatori e alla repressione di eventuali violazioni; il recupero della fauna in difficoltà o ferita; l'avvistamento di focolai di incendi ai fini della tutela della fauna e del relativo habitat; recepire le diverse segnalazioni degli utenti; la localizzare nidi e tane di fauna protetta; incrementare i contatti con gli Enti preposti alla vigilanza ambientale; lo svolgimento di servizi congiunti con i carabinieri di Siculiana, Montallegro e Cattolica Eraclea".

Tutto questo però senza fornire risultati tangibili dell'attività (numero di animali salvati, trappole scoperte, bracconieri denunciati, nidi individuati ecc), e ammettendo anche che il Corpo coadiuva altri enti preposti alla vigilanza ambientale più che svolgere una funzione in prima linea. Proprio in questi giorni la Provincia comunica che sono in mostra a Siracusa i risultati di un lavoro condotto dal settore Ambiente e territorio e riguardanti la tartaruga marina Caretta Caretta e il delfino Tursiops, oltre che l'habitat delle Maccalube di Aragona. Il tutto, ovviamente, senza il cenno di un sostegno del settore di Polizia venatoria.

Il bilancio del Corpo, tra l'altro, prevede come unica entrata i 20mila euro provenienti da senzioni per infrazioni al codice della strada. Le varie uscite prevedono, tra le altre cose, 3mila euro per il pagamento degli abbonamenti telefonici, 10mila euro per l'acquisto di carburante, 16mila euro per l'acquisto di nuovi mezzi e 11mila euro per la manutenzione dell'autoparco. Ben inferiori le somme investite per controlli presso le autoscuole, corsi di sicurezza stradale presso gli istituti scolasatici e cartellonistica stradale.

Quello per "alimentare" la Polizia venatoria è un impegno di spesa così rilevante, comunque,che non poteva passare inosservato al Consiglio provinciale, soprattutto in tempi di scontro politico. In tal senso si sta realizzando un emendamento, firmato già da diversi consiglieri tra cui Nino Spoto, Carmelo Avarello e lo stesso presidente Raimondo Buscemi, che storni queste cifre in favore dei precari della Provincia così da garantire loro fino a dicembre l'aumento del monte ore da 18 a 36. Insomma, la guerra del bilancio è appena iniziata.

A quanto ci risulta, comunque, anche il neo assessore alla Polizia provinciale Alfonso Montana, non ancora in carica al momento della redazione del Peg, si starebbe interessando alla vicenda e nei prossimi giorni potrebbe anche intraprendere delle iniziative specifiche.



Fonte: agrigentonotizie.it del 22 giugno 2012

martedì 19 giugno 2012

CFS sequestra due cani da caccia e li affida alla LAV

Disperate le condizioni in cui erano costrette a vivere due femmine di cane, una setter irlandese e una segugia, probabilmente non più utilizzabili per la caccia. I due animali erano rinchiusi dentro recinti nascosti in un fitto canneto a ridosso delle mura del ponte visconteo, in località Borghetto di Valeggio. Umidità, muschio ovunque, penombra anche nelle giornate più assolate, avanzi di carne lanciata dall'alto direttamente per terra, insetti ad infestare i ripari, recipienti con acqua stagnante piena di larve: uno scenario inquietante che ha indotto i volontari della LAV, che hanno effettuato il sopralluogo, a richiedere con urgenza al Corpo Forestale dello Stato il sequestro preventivo degli animali. Particolarmente grave la condizione della setter, totalmente priva di pelo, infestata da parassiti e con la cute martoriata da infezioni.

"Il destino di moltissimi cani da caccia giunti al termine della loro carriera, e quindi considerati inutili, è ingrato e crudele" afferma Lorenza Zanaboni, Responsabile della sede LAV di Verona. “Spesso terminano la loro esistenza tra privazioni, incuria e patimenti talvolta tremendi come nel caso delle due povere cagnoline di Valeggio, della cui esistenza si è venuti a sapere in modo del tutto fortuito. Benché negli ultimi anni i media diffondano con regolarità notizie relative alle conseguenze di carattere penale cui va incontro chi non rispetta le esigenze etologiche dell'animale che ha in custodia, con preoccupante frequenza ci imbattiamo in casi di animali detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura se non addirittura in situazioni di grave maltrattamento. E ci chiediamo per quali vie si possa finalmente arrivare a rendere di dominio comune che ad un essere senziente si deve rispetto " conclude la responsabile della LAV veronese.

“Ringraziamo gli agenti del Corpo Forestale dello Stato della stazione di Caprino Veronese per il celere intervento che ha salvato le due cagnoline da ulteriori patimenti e da una situazione che avrebbe potuto aggravarsi con il caldo.” dichiara Ilaria Innocenti, responsabile nazionale del Settore Cani e Gatti LAV e continua “Questo caso è un grave esempio di come vittima dell’attività venatoria non siano solo gli animali selvatici, ma anche i cani da caccia cui non sempre e soprattutto “a fine carriera” sono assicurate cure e condizioni di vita idonee. Per prevenire simili situazioni sono necessari maggiori controlli finalizzati a verificare le modalità di detenzione e il benessere degli animali.”

Le due cagnoline, impaurite e sofferenti, sono state consegnate in affido giudiziario alla LAV di Verona, impegnata fin da subito al loro recupero psico-fisico in attesa di poterle affidare a una famiglia.



Fonte: animalieanimali.it del 19 giugno 2012

Prete ucciso nel Barese a giudizio cacciatore


BARI – Il gup del tribunale di Bari Marco Guida ha rinviato a giudizio l’operaio di 52 anni Giovanni Ardino Converso, di Altamura (Bari), reo confesso dell’omicidio di don Fancesco Cassol, il sacerdote veneto di 55 anni ucciso per errore il 22 agosto 2010 nelle campagne della Murgia barese. 

Il delitto avvenne durante una caccia al cinghiale nella zona in cui Cassol si era accampato per trascorrere la notte assieme ad altre persone che con lui partecipavano ad una marcia di preghiera e di digiuno. 

L'imputato, che si costituì due giorni dopo il delitto e fu arrestato, risponde di omicidio colposo e omissione di soccorso. Il processo comincerà il 4 dicembre nella sezione distaccata del tribunale di Altamura. Sono costituiti parte civile l’Ente Parco dell’Alta Murgia e i familiari della vittima.

mercoledì 13 giugno 2012

Fabbrica Curone (AL) e la prova di caccia – il Comune ci ripensa



Grande soddisfazione è stata espressa dalla LAV di Alessandria che comunica la decisione del Comune di Fabbrica Curone (AL) di non far svolgere la prova di caccia inserita nella Fiera della Caccia & della Montagna prevista per domenica 17 giugno.
La prova di caccia a “selvatico abbattuto” aveva suscitato forti polemiche. La LAV di Alessandria, oltre alla diffida inviata al Comune, aveva mobilitato una protesta indirizzata all’amministrazione comunale per farla desistere dal realizzare e sponsorizzare tale manifestazione.
Il fatto poi che tale prova di caccia fosse aperta a tutti aveva ulteriormente indignato gli animalisti. Cosa c’è di più diseducativo per un ragazzino, avevano protestato alla LAV, che non sparare ad un essere che vive, soffre, gioisce, esattamente come noi, soprattutto se indifeso?
Sul caso si era espressa anche l’ENPA di Aqui Terme, facendo notare tra l’altro, l’inopportuna immagine utilizzata nella locandina: l’ignara lepre ai piedi del cacciatore.
Ieri sera, poi, la svolta. Il Comune tramite avviso annuncia che “la prova di caccia con selvatico abbattuto non avrà luogo”.
Una scelta giudicata dalla LAV di Alessandria come “la soluzione migliore per tutti e la più indolore”.
Da quando la Giunta Cota – sottolinea la LAV di Alessandria – ha regalato ai cittadini piemontesi il diniego dell’espressione democratica attraverso il referendum sulla caccia, si è creata una rete di persone sempre più attente all’argomento caccia. Un grazie – prosegue l’Associazione – a tutti coloro che ci hanno aiutato e che hanno permesso, con il loro contributo, di ottenere questo risultato”.

mercoledì 30 maggio 2012

Cacciatori, questa volta travestiti da "guardie ambientali"...


C'è gente che lavora per far passare un'idea positiva di tutela degli animali, di sviluppo compatibile con l'ambiente, compatibile con il futuro. Ci sono alcuni che fanno esattamente l'opposto. E ci sono anche casi in cui si rimane senza parole.
Ed è proprio il caso del presidente dell'associazione venatoria FEDERCACCIA di via Piccinni n°46 di Corato, il quale, è anche responsabile provincialedell'associazione ambientalista locale Guardie Ambientali d'Italia (che guarda caso condivide la stessa sede), che chiede e preme la Regione Puglia per istituire e gestire una zona per cacciatori di addestramento cani con abbattimento tutto l'anno, peraltro in un'area già dilaniata ambientalmente, ovvero, la "Murgetta" agro di Corato. Uno schiaffo a chi ambientalista lo è per davvero, a chi difende gli animali e la natura ogni giorno, anche con i denti, e, che, pur di regalare anche ad un solo uccellino - strappato all'attività venatoria - la libertà ci mette la propria faccia e la propria responsabilità ed anche il proprio denaro pur di onorare la vita di tutti gli essere viventi.
L'Associazione nazionale GUARDIE PER l'AMBIENTE prende le distanze da questo modo affaristico di fare "ambiente" e di "tutela degli animali" da parte di questi soggetti che vogliono apparire ambientalisti ma che di fatto sono cacciatori (o ne rappresentano gli interessi). Non si può essere contro la caccia e poi favorirla con la richiesta di istituzione di una Zona di Addestramento Cani (ZAC) in cui si possono ammazzare gli animali in ogni periodo dell'anno e a due passi dalle numerose villette della "Murgetta", permettendo ad orde di cacciatori - provenienti da ogni dove - di sparare ad ogni ora del giorno e in un qualunque giorno dell'anno per ammazzare prede per il divertimento di una scellerata politica venatoria senile che non riesce più a guardare alle mutazioni sociali ma appena al proprio piatto di lenticchie.
Questa "barzelletta" commenta il Presidente nazionale della GUARDIE PER L'AMBIENTE è un film già visto. 
Già nel 2005, proprio il Presidente nazionale dell'Associazione GUARDIE PER L'AMBIENTE smascherò un altro falso ambientalista coratino che si era seduto sulla poltrona del Comitato Tecnico Provinciale di Bari per la Tutela Faunistico Venatoria. Il TAR Puglia (con la Sent. n°1538/2005) lo "caccio" fuori da Comitato perché formalmente ambientalista ma nei fatti solo un cacciatore. Il vecchio gioco del lupo che si traveste da agnellino forse per carpire la buona fede di chi all'ambiente e agli animali ci tiene sul serio, danneggiando nei fatti questi ultimi.
Forse è per questo che la locale associazione Guardie Ambientali d'Italia, il cui presidente comunale è un altro noto cacciatore, ad oggi non ha alcun riconoscimento comunale e regionale, pur avendo svolto attività di protezione civile e altro.


Nel merito della questione ZAC, il Comitato Tecnico Regionale Faunistico-Venatorio chiamato il 6 giugno 2012 ha vagliare la richiesta, dovrà fare i conti con l'art. 59 del "Regolamento di Polizia Urbana" del Comune di Corato (approvato con Delibera di  C.C. n°24/2010) e con i diversi vincoli (anche paesaggistici) che impedirebbero la realizzazione della stessa Z.A.C. in un'area fortemente antropizzata da case, ville, famiglie, bambini e antenne!
Scenderemo in piazza se sarà necessario - tuonano Associazione nazionale GUARDIE PER l'AMBIENTE - e chiederemo ai proprietari delle aree  di revocare il loro benestare all'istituzione di quest'area che non vogliamo affatto, forti ancora del ricordo di quanto accadde nella ZAC “Piano Mangieri”. E poi non si può "battagliare" ancora sulla Murgetta per l'interesse di uno sparuto gruppo di scriteriati cacciatori che vogliono divertirsi ad ammazzare facili prede a sangue caldo. Gli animali si rispettano, non si ammazzano!

lunedì 14 maggio 2012

Caporetto venatoria, atto secondo


La Corte Costituzionale torna a censurare atti delle Regioni che prevedano, a prescindere dallo strumenti utilizzato, calendari venatori di durata pluriennali e clamorose violazioni del principio della caccia di specializzazione
I nostri lettori ricorderanno come una decina di giorni fa ci siamo trovati a commentare su questa testata on line due sentenze della Corte Costituzionale, in cui il Giudice delle Leggi era tornato, in materia ambientale, con particolare riferimento alla caccia,  ad enunciare principi peraltro assolutamente consolidati, secondo cui la disciplina sulla caccia ha  per  oggetto  la fauna selvatica, che rappresenta  «un  bene  ambientale  di  notevole rilievo, la cui tutela rientra nella materia "tutela dell'ambiente  e dell'ecosistema",  affidata  alla  competenza  legislativa  esclusiva dello Stato, che deve provvedervi assicurando un livello  di  tutela, non "minimo", ma "adeguato e non riducibile"» (Corte Cost., sent.  nn. 61/09,  193/ 2010, nn.105 e 106/12. Si veda anche, sul punto, Tar Lazio, ordinanza n.4908/10).
Sulla scia di quei due autorevoli pronunciamenti, la Corte Costituzionale, nella sentenza in rassegna, ha censurato la normativa regionale marchigiana in materia di caccia, che si poneva in contrasto con la legge quadro statale 11 febbraio 1992 n.157 sotto n duplice profilo.
In primis, il Giudice delle Leggi dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'articolo 26, comma 1, della LR  Marche n. 15 del 2011, nella parte in cui - sostituendo l'articolo 30 della legge della Regione Marche n. 7 del 1995 - disponeva che il calendario venatorio regionale ha validità minima annuale e massima triennale, anziché prevederne unicamente la validità annuale.
Già nelle sentenze nn.20 e 105/12, che abbiamo diffusamente commentato sulle pagine di questa rivista, la Corte Costituzionale aveva avuto modo di significare come la disciplina generale sulle specie cacciabili e sui  periodi  di attività venatoria è contenuta  nell'art.  18  della  legge  dell'11 febbraio 1992, n. 157, che garantisce «nel rispetto degli obblighi comunitari contenuti n. 79/409/CEE,  standard minimi ed uniformi, di  tutela  della  fauna  sull'intero  territorio nazionale,   ha   natura   di   norma   fondamentale    di    riforma economico-sociale, in quanto implica il nucleo minimo di salvaguardia della  fauna  selvatica,  il  cui  rispetto  deve  essere  assicurato sull'intero territorio nazionale ... (sentenze n. 227 del 2003  e  n. 536 del 2002)» (Corte Cost., n. 233 del 2010).   
Da ciò  consegue  che  le  norme  statali  rappresentano  limiti invalicabili per  l'attività  legislativa  della  Regione,  dettando norme imperative che devono essere rispettate sull'intero  territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale.  
Ciò posto, si è ulteriormente osservato che  il  comma  2  dell'art.  18  della predetta legge n.  157  del  1992  prevede  che  le  Regioni  possano autorizzare modifiche alle norme generali sui  periodi  di  attività venatoria  per  particolari  specie,  tenendo  conto  della   propria situazione  ambientale,  a  seguito  di  apposito  procedimento   che contempla l'acquisizione del parere dell'Istituto  Nazionale  per  la Fauna Selvatica (nelle cui competenze è successivamente  subentrato  l'ISPRA in base al DL  25 giugno 2008, n. 112,  convertito  in  legge,  con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008). Il  successivo  comma  4 stabilisce che, sulla base dei  parere  dell'ISPRA,  le  Regioni pubblichino, entro il 15 giugno di ogni anno, termine che la Corte, nella pronuncia in rassegna, pare considerare perentorio, e non già ordinatorio, come a volte affermato, in passato, dalla giurisprudenza amministrativa, «il calendario regionale ed il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel  rispetto di quanto stabilito dai commi 1, 2 e 3 ...».
Le norme primarie emanate  dal  Legislatore  statale  nell'ambito della sua competenza esclusiva in materia,  sono pertanto chiare nel fare  riferimento  ad  una attività regolamentare che deve essere adempiuta dalla Regione entro il termine del 15 giugno di ciascun anno, a seguito di uno specifico procedimento che  contempla  l'acquisizione  di  un  parere obbligatorio dell'Istituto  specificamente  preposto  alle  verifiche tecniche finalizzate alla tutela degli interessi ambientali. Interessi che peraltro, nel corso degli anni, ben possono essere mutevoli, stante che la consistenza numerica e/o lo stato di conservazione delle singole specie interessate dal prelievo venatorio. Tanto è vero che  i pareri resi dell'ISPRA risultano sovente mutevoli negli anni, anche in relazione alla medesima specie e/o realtà territoriale.
Non a caso, in numerose occasioni, allorquando sono stati chiamati a scrutinare taluni calendari venatori correttamente emanati dalle Regioni di volta in volta interessate con provvedimento amministrativo, i Giudici Amministrativi hanno avuto modo di chiarire che "i piani di prelievo devono essere predisposti per ciascuna stagione venatoria e i dati utilizzabili non possono che riferirsi alla presenza degli animali in un periodo prossimo alla stagione venatoria cui il piano di prelievo si riferisce". (TAR Piemonte - II - 15.11.06 n.584)
    L'interpretazione letterale e logica  delle  citate  disposizioni induce in primo luogo  a ritenere (e la giurisprudenza sia amministrativa che di legittimità è consolidata in questa interpretazione della norma)  che il parere debba essere richiesto in relazione ad ogni singoli piani di prelievo, con cadenza annuale, ed in secondo luogo che la legge statale abbia inteso riferirsi in  via necessaria ed esclusiva ad una attività destinata a concludersi  con un atto di natura amministrativa a contenuto generale, escludendo  la possibilità di far ricorso al diverso strumento della legge, specie allorquando non si versi neppure nell'ipotesi della legge provvedimento, ma di una legge ordinaria, destinata a rimanere in vigore per un numero pressoché indefinito di anni.
Ciò è dimostrato, in primo luogo,  dall'espressa  dizione,  contenuta nel comma 4 del citato art.18, che prevede esplicitamente  l'obbligo di pubblicare «il calendario regionale  ed  il  regolamento  relativi all'intera annata venatoria». L'endiadi fa evidente riferimento ad un unico atto di natura regolamentare, contenente  le  specifiche  norme applicabili nel territorio regionale nel periodo venatorio  preso  in considerazione.
Ad analoghe conclusioni conduce il carattere temporaneo (annuale) del provvedimento previsto dalla  legge,  che  ben  si  concilia  con l'adozione di un atto amministrativo  riferibile  ad  un  determinato arco temporale, da compiere entro un termine di scadenza definito,  e che non sembra invece compatibile con un preteso obbligo  di  analogo genere a carico del legislatore regionale.
In ultima analisi,  la  natura  amministrativa  (e  non  legislativa) dell'attività provvedimentale di  cui  trattasi  è  dimostrata  dal significato  della  disposizione  del  secondo  comma,  che   prevede l'obbligo di acquisire il parere  dell'Organo  consultivo  competente nella materia. E' evidente infatti che tale parere acquista rilevanza solo se si ritiene che la Regione  sia  tenuta  ad  esaminarne  ed  a valutarne il contenuto,  giustificando  con  congrua  motivazione  il proprio   eventuale   dissenso   attraverso   un   atto   di   natura amministrativa adottato nel rispetto dell'art. 3, primo comma,  della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche ed  integrazioni.
Di contro,  il parere sarebbe invece sostanzialmente inutile (e la  norma che lo prevede sarebbe priva di effettivo valore precettivo), qualora si ritenesse che la Regione sia arbitra  concludere  il  procedimento con un atto di natura legislativa, che oltretutto - per il disposto del  secondo comma del  citato  art.  3  -  si  sottrae  al  predetto  obbligo  di motivazione. In sostanza, qualora fosse  ipotizzabile  l'adozione  del calendario venatorio con legge regionale, anziché con provvedimento, amministrativo,  risulterebbe  pregiudicato  l'esito  della  verifica tecnica affidata all'ISPRA  sullo  stato  delle  specie  interessate, così come prescritto dall'art. 18, commi 2 e 4, della  citata  legge n. 157 del 1992.
Tale verifica si tradurrebbe quindi in una specie di non previsto (quanto inutile ed inefficace) controllo  preventivo  di legittimità della legge regionale da  parte  del  competente  Organo Tecnico dello Stato.
Questi principi direttivi risultano violati sia dalla Regione Marche che dalle altre Regioni, quali la Liguria, l'Abruzzo, la Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia ecc., che negli anni si sono determinate ad  approvare i propri calendari venatori mediante   provvedimento   legislativo, anziché con atto amministrativo.
Queste  Regioni, infatti, eludendo  lo  strumento procedimentale  prescritto  dalla  legge  statale,  hanno sostanzialmente   eluso   i passaggi procedimentali inderogabili stabiliti dalla legge quadro, e che prevedono espressamente, come si accennava poc'anzi, che per ogni singolo piano di prelievo venga posta in essere un'istruttoria tecnica, che tenga conto, nell'interesse primario della tutela della fauna, delle condizioni ambientali e dello stato di conservazione delle singole specie.
Peraltro, nella sentenza in rassegna la Corte Costituzionale ha fatto ancora notare come il Legislatore marchigiano, non solo avesse illegittimamente attratto a sé la competenza provvedimentale, ciò che è in ogni caso precluso, ma si fosse  spinto fino a irrigidire nella forma della legge il calendario per tre stagioni, indebolendone ulteriormente il "regime di flessibilità",  che, come già ripetutamente rappresentato anche dalla giurisprudenza amministrativa,  deve assicurarne un pronto adattamento alle sopravvenute diverse condizioni di fatto.
E' appena il caso di rammentare, sul punto,  che il  ricorso  allo  strumento legislativo serve anche  a  precludere  ai  cittadini  ed  alle  loro organizzazioni rappresentative, la possibilità di tutelare  i  propri interessi legittimi innanzi  al  competente  giudice  amministrativo, mediante rituale impugnazione  del  calendario  venatorio  approvato.
Siamo di fatto di fronte ad  una chiara ipotesi di eccesso di potere legislativo, in cui le Regioni sono andate a  comprimere gli interessi di soggetti titolari di un diritto azionabile innanzi al Giudice Amministrativo ex artt. 24 e 113 Cost.,  in un contesto in cui, peraltro,  accade di sovente che le Regioni varino leggi in contrasto con le previsioni della legge quadro,  che, come detto, costituisce per tutte le Regioni, ivi comprese quelle a Statuto speciale, un limite invalicabile, derogabile unicamente in melius, vale a dire in senso più conservativo.
Proprio alla luce di tali principi, consolidatissimi e di cristallina chiarezza, nella sentenza in rassegna la Corte Costituzionale ha censurato anche la disposizione di cui all'articolo 22, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria)», che inserisce nell'articolo 27 della legge della Regione Marche n. 7 del 1995 i commi 5-bis e 5-ter, siccome in contrasto con quanto stabilito dall'art.12 comma 5 della legge quadro, e che prevedeva che prevede che i titolari di licenza di caccia ultrassantacinquenni, i quali avessero  scelto di esercitare la caccia nelle «altre forme consentite dalla legge», di cui al comma 3, lettera c), dello stesso art. 27, potessero praticarla anche in quella prevista dalla lettera b), ossia da appostamento fisso (comma 5-bis), e che i cacciatori che avevano scelto la forma di caccia da appostamento fisso, potessero praticare anche «la caccia da appostamento temporaneo costituito da riparo artificiale mobile, inteso come telaio e copertura in tessuto» (comma 5-ter).
Quanto testè descritto ci pare di per sé sufficiente - come infatti ha riconosciuto il Giudice delle Leggi - a ritenere costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art.12 comma 5 della legge quadro, e, per gli effetti, dell'art.117 comma 2 lett.s) Cost. la norma varata dal Legislatore marchigiano, che si poneva in palmare contrasto col cd. il principio della caccia di specializzazione, in base al quale, fatta eccezione per l'esercizio venatorio con l'arco o con il falco, ciascun cacciatore può praticare la caccia in una sola delle tre forme ivi indicate («vagante in zona Alpi»; «da appostamento fisso»; «nelle altre forme» consentite dalla citata legge «e praticate sul restante territorio destinato all'attività venatoria programmata»).
Ne deriva, come puntualmente sottolineato dalla Corte, che  tutti i cacciatori siano tenuti a scegliere, nell'ambito di tale ventaglio di alternative, la modalità di esercizio dell'attività venatoria,   fermo restando che l'una forma esclude l'altra.
Tale criterio di esclusività ‒ che vale a favorire il radicamento del cacciatore in un territorio e, al tempo stesso, a sollecitarne l'attenzione per l'equilibrio faunistico ‒ trova la sua ratio giustificativa nella constatazione che un esercizio indiscriminato dell'attività venatoria, da parte dei soggetti abilitati, su tutto il territorio agro-silvo-pastorale e in tutte le forme consentite rischierebbe di mettere in crisi la consistenza delle popolazioni della fauna selvatica.
In quanto rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, la norma statale si inquadra, né potrebbe essere diversamente, nell'ambito materiale della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema: tutela riservata, come abbiamo scritto decine e decine di volte,  alla potestà legislativa esclusiva statale dall'art. 117, comma 2 lett. s), Cost.
Detta disposizione, concorrendo alla definizione del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, stabilisce, in particolare, una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio ponendo, con ciò, una regola che, per consolidata giurisprudenza della  Corte Costituzionale, può essere modificata dalle Regioni, nell'esercizio della loro potestà legislativa residuale in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela (soluzione che comporta logicamente il rispetto dello standard minimo fissato dalla legge statale: ex plurimis, sentenze n. 106 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010, n. 61 del 2009), mentre deve di contro ritenersi illegittima qualsivoglia ipotesi di deroga in peius.
Ciò posto, la disposizione regionale impugnata dal Governo, nel consentire l'esercizio cumulativo di diverse forme di caccia - sebbene solo ad alcuni soggetti abilitati - deroga, per converso, alla disciplina statale nella direzione opposta, introducendo una regolamentazione della materia che implica una soglia inferiore di tutela.
Né, ha concluso, con persuasiva motivazione,  la Corte Costituzionale nella sentenza che si annota, potrebbe essere condivisa la tesi difensiva della Regione Marche, in base alla quale la deroga in questione avrebbe una portata talmente limitata, essendo riservata solo a pochi soggetti,  da non poter incidere in alcun modo sulla tutela dell'ambiente e, in particolare, sugli standard di protezione della fauna selvatica.
Di contro, ha obiettato la Corte, proprio il fatto che si discuta di una soglia minima e uniforme di protezione esclude in radice la praticabilità di scelte di minor rigore da parte della Regione, indipendentemente da ogni considerazione peraltro assolutamente opinabile,  attinente al quantum dell'incidenza della deroga, in un contesto in cui è peraltro  incontestabile che la possibilità di esercizio congiunto di più forme di caccia  valga ad incrementare le potenzialità di procedere ad abbattimenti da parte della platea dei cacciatori.
Con l'augurio che, una buona volta, le Regioni abbiano capito....
su gentile concessione www.dirittoambiente.com

mercoledì 9 maggio 2012

Referendum caccia in Piemonte: lo scippo è compiuto


Quello che sta succedendo in questi giorni in Piemonte è indegno non solo di uno Stato democratico, ma addirittura di un Paese che si ritiene civile e ricorda l’aspetto peggiore delle dittature dei Paesi sudamericani o centroafricani.

Il Consiglio Regionale, su proposta dell’Assessore leghista Sacchetto (in pieno accordo con il Presidente Cota), ha infatti approvato un emendamento alla Legge Finanziaria, mediante il quale è stata abrogata la Legge Regionale sulla caccia. In questo modo sarà possibile cancellare il referendum del prossimo 3 giugno, visto che riguarda una legge non più in vigore. Referendum che, ricordiamo, era stato richiesto nel lontano 1987 da 60.000 elettori, ma che non si è mai potuto svolgere per la politica ostruzionistica adottata fino ad ora dalla Regione, indipendentemente dalla parte politica di appartenenza dei suoi vertici. Solo ad inizio dell’anno il Tar aveva imposto alla Regione l’indizione del referendum, a conclusione di una estenuante battaglia legale che si è trascinata attraverso ben 9 gradi di giudizio.

La gravità dell’atto della Regione è evidente. Pur di evitare un referendum e sotto l’ipocrita paravento del risparmio delle spese che questo avrebbe comportato, si calpestano in modo indegno i diritti della cittadinanza. Le discussioni sull’iniziativa sono infatti quasi sempre ruotate intorno ai costi della consultazione. O meglio, questa è l’informazione che, salvo qualche rara eccezione, è stata fornita dai media, come al solito molto più attenti alle dichiarazioni di chi detiene il potere che non a quelle di chi questo potere vorrebbe gestirlo in modo partecipativo e democratico. Così, la proposta del Comitato referendario di abbinare la consultazione alle elezioni amministrative che si tengono in questi giorni è passata sotto silenzio, così come la più ovvia delle soluzioni in grado di consentire un risparmio totale: il recepimento per legge dei quesiti referendari. Inoltre, con riferimento ai costi del referendum, diciamo che sarebbe stata una spesa (o, meglio, un investimento) e non certo uno spreco. Le iniziative che favoriscono la democrazia e la partecipazione diretta del popolo alla gestione dei beni comuni non possono essere semplicemente liquidate come “uno spreco”. Se così fosse, cosa dovremmo allora dire del finanziamento pubblico (scusate, rimborso elettorale…) che viene concesso ai partiti politici? Tra l’altro per importi ben superiori a quelli di cui si parla nel caso del referendum. Si dirà: perché i partiti sono uno strumento fondamentale nell’esercizio democratico. Già, e invece il referendum no? E addirittura, perché fare le elezioni? Anche loro sono uno “spreco”? Potremmo risolvere il problema della rappresentanza del popolo nelle istituzioni ad esempio con un sondaggio. Ci costerebbe molto di meno! Non si capisce poi perché le risorse necessarie per il referendum debbano sempre essere poste in alternativa alle spese per l’assistenza sociale. Sembra quasi che o si fa il referendum o si interviene a favore dei disoccupati, degli anziani, dei malati, ecc. Perché non si può invece dire che per il referendum vengono utilizzate risorse altrimenti destinate alle spese di rappresentanza della Regione, oppure ai viaggi all’estero dei consiglieri, oppure ancora al funzionamento dei Gruppi Consiliari? Per non parlare, ovviamente, dei compensi che vengono elargiti ai Consiglieri e al nutrito stuolo di loro collaboratori… Gli sprechi nella gestione delle risorse economiche da parte degli Enti Pubblici sono sotto gli occhi di tutti e, pare, assolutamente incontrollabili. Eppure qui va tutto bene: la causa dell’eventuale tracollo finanziario della Regione sarebbe il referendum…

 E poi non si capisce perché debba essere solo il Comitato promotore il referendum il responsabile della spesa. Il Comitato ha promosso un referendum, applicando e rispettando in modo rigoroso le leggi esistenti. Tutto ciò che è successo in seguito è una conseguenza automatica: dire che la spesa è colpa dei promotori è come accusare di omicidio chi denuncia un assassino, nei Paesi in cui vige la pena di morte!

Nemmeno una proposta di mediazione approvata recentemente dalla Terza Commissione del Consiglio pare verrà tenuta in considerazione. Sacchetto e i suoi non sono disposti a concedere nulla pur di compiacere a una frangia del tutto minoritaria della popolazione: ricordiamo che i cacciatori rappresentano solo lo 0,6% dei piemontesi.

Da rimarcare come il Comitato Promotore del referendum aveva dichiarato la propria disponibilità a trovare una soluzione “politica” alla vicenda, in grado di consentire il risparmio delle spese necessarie per indire la consultazione popolare. Ma la Giunta ha rifiutato ogni possibile dialogo ed ha proseguito imperterrita nella propria strada.

Abrogando la legge regionale, in Piemonte entrerà automaticamente in vigore quella nazionale, che però ne è molto più permissiva. Non solo quindi il popolo viene scippato del suo sacrosanto diritto di esprimere il proprio parere sulla caccia, ma addirittura si opera in modo diametralmente opposto a quella che è la richiesta referendaria. Insomma, un vero scandalo, che ci stupisce abbia scatenato le ire dei piccoli partiti di opposizione, ma non del PD, che anzi ha fornito sostegno e supporto alla maggioranza fino alla vigilia del colpo di mano di questi ultimi momenti.

Il Comitato del Referendum attiverà immediatamente i propri avvocati per chiedere il ripristino della legalità e denuncerà l’atteggiamento di quei consiglieri regionali che si sono dichiarati favorevoli all’aberrante e liberticida proposta di Sacchetto. Esistono dei diritti dei cittadini, riconosciuti anche dalla Costituzione: non possiamo permettere che vengano calpestati in modo così ignobile senza reagire. Anche perché oggi tocca al referendum sulla caccia, domani magari a qualche altra regola democratica.
Piero Belletti


Fonte: ilfattoquotidiano.it del 04 maggio 2012

martedì 24 aprile 2012

Ischia: i cinque bracconieri fermati sarebbero iscritti a Federcaccia




COMUNICATO STAMPA


BRACCONAGGIO A ISCHIA, LIPU A FEDERCACCIA:

SEVERI PROVVEDIMENTI CONTRO CHI HA VIOLATO LA LEGGE.
Cinque soggetti su sei fermati domenica scorsa nell’isola campana
 sarebbero iscritti all’Associazione venatoria



Con tutta evidenza non è più sufficiente dichiararsi contro il bracconaggio senza far seguire atti decisi e concreti. Per questo motivo, Le chiedo di voler valutare la possibilità di prendere severi ed esemplari provvedimenti nei confronti di questi ultimi soggetti che a Ischia hanno macchiato l’immagine della Sua associazione, volendoli anche pubblicamente comunicare ai cittadini. Sarebbe un’ottima occasione per dare un segnale di legalità, responsabilità e senso civico.

Con questa richiesta termina la lettera che il Presidente della LIPU-BirdLife Italia Fulvio Mamone Capria ha inviato questa mattina al Presidente di Federcaccia Gian Luca Dall’Olio a seguito dell’episodio di bracconaggio avvenuto domenica scorsa a Ischia, dove sei cacciatori sono stati fermati dagli uomini del Nucleo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato, coadiuvati dai volontari della LIPU.

Cinque dei sei soggetti fermati hanno dichiarato di appartenere alla Federcaccia” commenta Mamone Capria, a testimonianza del fatto che serve una forte azione di vigilanza e controllo da parte delle associazioni venatorie sui propri iscritti.

Di fronte a questo malcostume venatorio, che ad Ischia viene rappresentato nel modo più vergognoso e assume toni di spregiudicatezza unici – prosegue il Presidente della LIPU - mi è sembrato doveroso chiedere al presidente Dall’Olio di prendere le distanze dal bracconaggio, non a chiacchiere ma con fatti concreti, attraverso provvedimenti severi nei confronti di questi cacciatori illegali. Sarebbe un segnale di forte legalità e di concretezza.

La LIPU ringrazia ancora una volta tutto il personale del Corpo Forestale dello Stato nella persona del suo Capo, ing. Cesare Patrone, che da sempre dimostrano qualità e concretezza nelle azioni di polizia giudiziaria ambientale nonché l’alta specializzazione del Nucleo Antibracconaggio.
Proprio per questo la LIPU ha avviato una decisa Campagna Antibracconaggio nazionale (dettagli su www.lipu.it) che, oltre a una raccolta fondi a sostegno delle attività antibracconaggio, prevede anche una raccolta di firme indirizzata al Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, affinché siano garantiti, al Corpo forestale dello Stato, i fondi necessari per la lotta al bracconaggio.
Attività fondamentali per evitare che il nostro Paese venga nuovamente accusato dall’Unione europea di non difendere le “rotte migratorie” e la fauna selvatica.
Parma, 24 aprile 2012

lunedì 16 aprile 2012

"Vi mostro l'impatto ambientale da piombo lasciato dai 'predatori'"


La video-denuncia di un agricoltore sardo rivela l'inquinamento provocato dai rifiuti e dai bossoli lasciati dai cacciatori durante le 'poste'. "Il nostro documentario - ci ha detto - punta il dito anche contro la totale mancanza di controlli"



Non sono esemplari rari quelli che da anni abitano nella proprietà di Marcello Saba, 57 anni agricoltore di Villacidro, in provincia del Medio Campidano in Sardegna, bensì una comunità numerosa che di danni all'ambiente ne fa parecchi. "Predatori", come li definisce lo stesso coltivatore, che bivaccano di notte nascosti tra le siepi, e spariscono di giorno lasciando sul terreno, ogni sorta di sporcizia, rifiuti e pallettoni contenenti residui di polvere di piombo. Ecco ciò che resta delle lunghe notti dei cacciatori passate a fare la "posta", spesso in terreni altrui, violando anche la proprietà privata.
Così ogni mattina, sacco in spalla, Marcello va a raccogliere tutto quello che trova sul suo terreno, alle pendici della cascata Sa Spendula, tre ettari di campo che, oramai, non riesce più a coltivare: "Da anni, ci provo, ma tutto è reso vano dall'inquinamento presente nella mia proprietà". "È come se non fosse più casa mia - ci spiega l'agricoltore -. Se tutto va bene, da febbraio sino ad agosto posso curare il mio oliveto, mentre da settembre a gennaio vivo una situazione di multiproprietà con individui di cui non conosco il volto".
Stanco di tutto questo, soprattutto dell'indifferenza di quanti dovrebbero controllare e tutelare, Marcello denuncia. E lo fa in modo diretto, con un video documentario dal titolo 'Prey field' ('il campo braccato'), girato pochi mesi fa proprio nel suo terreno, che mostra chiaramente l'impatto ambientale provocato dall'inquinamento dei rifiuti lasciati dai cacciatori. Un corto-inchiesta di 14 minuti, diretto da Fabrizio Marrocu per Faster Keaton Produzioni, che non vuole condannare un'intera categoria, bensì farsi portavoce della totale mancanza di rispetto verso la proprietà, la terra, l'ambiente. In Sardegna, come in molte altre regioni d'Italia. Per cercare di capire meglio la situazione NanniMagazine.it a parlato a lungo proprio con Marcello Saba:


Marcello da quanto tempo va avanti questo fenomeno e in quale periodo dell'anno si manifesta?"Praticamente da sempre. Le dico, io ho 57 anni e questo fenomeno lo conosco da una vita. Va detto, ovviamente, che non si può fare di tutta l'erba un fascio, quindi non tutti i cacciatori vanno in giro in cerca di prede e poi lasciano in giro rifiuti di vario tipo. Il periodo di caccia, invece, parte generalmente dalla fine di settembre fino a dicembre, ma con la 'caccia in deroga' viene protratto fino alla fine di gennaio, o addirittura alla fine di febbraio. E questo ci rende fuori legge davanti alla Comunità europea".
Fuori legge perché?
"Perché la caccia in deroga viene effettuata solo per motivi di sovrappopolamento di una determinata specie animale, magari ci sono troppi esemplari e allora si interviene. Ma le assicuro che, almeno da queste parti, di animali ne sono rimasti ben pochi, e sono gli stessi cacciatori che lo dicono".
Ciò che si vede nel video-denuncia accade solo nel suo terreno?"Assolutamente no. Guardi, quello che succede nel mio campo è quasi ben poca cosa rispetto quello che si verifica sia in altri terreni limitrofi ed in altre zone dove si pratica la caccia, soprattutto in quelle collinari e verso le montagne dove la sera ritornano gli animali, sopratutto uccelli".


Nel documentario si vedono le tracce lasciate dal bivacco dei cacciatori: cartucce, scatolette alimentari, bottiglie di plastica e vetro, tutti rifiuti lasciati dopo una "posta":"Esatto, la 'posta' è proprio il punto fisico dove il cacciatore si ferma e spara, e può avvenire in due modi: o si ricava uno spazio all'interno di una siepe già esistente, oppure costruendone uno con rami e pietre da ricollocare in un terreno libero le cui coltivazioni sono state già tagliate. Quest'ultima è una delle scelte più praticate perché i campi appena seminati o arati sono liberi così quando la preda viene colpita e cade giù è subito visibile ad occhio nudo, non c'è nemmeno bisogno del cane. Nella vegetazione, invece, gli animali si perdono. A volte ne ho trovati io stesso morti, nascosti tra le piante andando in giro per l'oliveto. Tra l'altro va detto che in un'area, ad esempio, di tre ettari si possono trovare dalle 10 alle 15 poste di cacciatori".
Un vero e proprio campo di battaglia verrebbe da dire:"Guardi le dirò di più. Nel documentario non lo abbiamo fatto per motivi di tempo, ma avremmo voluto inserire delle interviste alle persone che un tempo mi venivano a trovare la domenica per vistare l'oliveto. Ecco, ogni volta siamo dovuti scappare perché sembrava di stare in guerra tra i tanti spari, la paura di essere colpiti dai pallini e via dicendo. Bisogna davvero vedere quel che succede da queste parti durante la stagione della caccia, e noi nel nostro documentario non abbiamo detto nulla di falso. Poi consideri che i cacciatori arrivano con le loro macchine, parcheggiano all'inizio del terreno e, possibilmente, anche vicino alla 'posta'".


Se le "poste" vengono effettuate all'interno dei terreni altrui è violazione di proprietà privata:"Certo. Lei pensi che una volta ho provato a farlo notare ad un cacciatore, pregandolo di non entrare nel mio terreno e di parcheggiare la macchina sulla strada per poi salire a piedi. Dal momento che non voleva saperne sono andato subito dai Carabinieri, il tempo di tornare indietro e il cacciatore già se n'era andato. Ma dobbiano andare avanti così?".


Quindi dal punto di vista della tutela e del controllo mi sembra di capire che nessuno vigila:"Esatto. Questo video denuncia non solo 'inquinamento ambientale prodotto da alcuni cacciatori durante le loro attività e le violazioni che commettono, ma indirettamente denuncia anche la totale mancanza di controllo delle istituzioni preposte a farlo. Dopo la diffusione del documentario, infatti, è iniziato un po' di fermento in chi dovrebbe vigilare. Ma allora perché nessuno controlla, ad esempio, quanto si spara e quante cartucce vengono lasciate per terra? Basterebbe venire nel mio terreno, così come in quello di altri, starci un paio d'ore, ascoltare i botti e poi chiedere ai cacciatori 'dove sono i bossoli?'. Il problema è che, non tutti ovviamente, ma la maggior parte di loro tiene sempre due o tre cartucce in tasca così da rispondere sempre 'eccoli qui quelli che ho usato'. Se le cose vanno avanti così da sempre, dice qualcuno, perché disturbare?".

Quali sono, secondo lei, le conseguenze di questo inquinamento ambientale?
"Vede, oltre ai vari rifiuti lasciati ogni volta dai cacciatori, il danno maggiore sono i pallini di piombo che, una volta esplosi, contengono ancora tracce di polvere da sparo che, inevitabilmente, si riversa nel terreno su cui cadono. Ed è facile intuire che nel tempo questo fenomeno genera problemi di avvelenamento per l'uomo".
Per le piante e la vegetazione circostante invece?
"Le dirò, in realtà non so quanto assorbano o meno. Però è anche vero, e lo posso dire perché l'ho denunciato nel documentario, che un filare di piante lungo la siepe da dove sparano i cacciatori da anni non fiorisce più e non fa più i suoi frutti. Le dirò di più: un giorno durante la potatura degli alberi, sono rimasto perplesso perché vedevo alcuni rami un po' strani, tutti bucati e pendenti, così ho pensato fosse un parassita che li aveva mangiati piano piano. Poi, guardando meglio, ho capito: erano rami impallinati. Ovviamente se un cacciatore vede un animale poggiato su un ramo spara comunque, non si fa tanti problemi sul danno che può provocare alla pianta. Cose del genere si sono manifestate anche in alcuni frutteti e agrumeti qui vicino: molti agricoltori si lamentano che  spesso devono controllare uno ad uno gli impianti di irrigazione per tappare i buchi lasciati dai pallini. Guardi che a raccontarlo sembra assurdo. Ci vorrebbe un film intero per far vedere quello che succede qui".


Avete provato a far arrivare la vostra denuncia alle istituzioni perché si prendano dei provvedimenti?"Noi cerchiamo ogni giorno di contattare referenti politici, di parlare con senatori e parlamentari, associazioni ambientaliste perché qualcuno si faccia promotore di una qualche iniziativa, cerchi di mettre un freno a tutto questo o almeno lo regolamenti, o ancora che tuteli la proprietà privata così da non avere più cacciatori che circolano liberamente nel proprio terreno. Sì ci stiamo provando, non è semplice, ma ci stiamo provando". 

lunedì 26 marzo 2012

Bergamo. La caccia spiegata ai giovani. Ma non si presenta nessuno

I cacciatori avevano organizzato una rassegna per far conoscere ai ragazzi delle scuole valori e obbiettivi dell'attività venatoria. Alla Casa del Giovane non si è fatto vivo nessuno

I cacciatori bergamaschi organizzano una rassegna provinciale per spiegare ai ragazzi delle scuole valori ed obiettivi dell’attività venatoria. Ma all’appuntamento di questa mattina a Bergamo, non si è presentato nemmeno un alunno. Il programma della Rassegna provinciale di Gestione Venatoria è proseguito dunque tra gli addetti ai lavori, per la soddisfazione degli animalisti, che proprio questa mattina, davanti alla Casa del Giovane, dov’è organizzata l’iniziativa, hanno manifestato contro la caccia. “Abbiamo constatato con grande soddisfazione che neppure una scolaresca ha aderito alla rassegna – dicono gli animalisti – Docenti e genitori hanno mostrato intelligenza e coscienza, boicottando l'iniziativa di chi vorrebbe insegnare ai giovani che uccidere è una cosa bella e giusta”.
La tensione a distanza tra i cacciatori del circolo orobico dell’Uncza e i militanti dell’associazione Cento per cento animalisti aveva iniziato a montare già mercoledì notte, quando gli animalisti avevano appeso all’entrata della Casa del Giovane uno striscione con la scritta “Cacciatore educatore? Ecco il vostro professore” e una freccia ad indicare Pietro Pacciani, per anni sospettato di essere il mostro di Firenze. “Non è certo merito loro se le scuole non sono arrivate – spiega Marco Bonaldi, presidente del circolo Uncza delle Prealpi Orobiche, che organizza la manifestazione – L’iniziativa si sta comunque svolgendo come da programma. Noi avremmo soltanto voluto spiegare ai ragazzi che non siamo assassini, né terroristi, ma gestori dell’ambiente e della fauna, in grado di saper governare animali e natura, e di conoscere lo stato di salute dell’ambiente che ci circonda”.

lunedì 12 marzo 2012

Salvo dai cacciatori lo stambecco delle Alpi

WWF: SALVO DAI CACCIATORI LO STAMBECCO DELLE ALPI

IL CAPO DELLO STATO DA RAGIONE AL WWF CONTRO IL PIANO DELLA PROVINCIA  DI SONDRIO PER  APRIRE LA CACCIA ALLA SPECIE  PROTETTA

In salvo dai cacciatori lo stambecco delle Alpi. E’ di stamane notizia della decisione  del Capo dello Stato, a cui ha fatto ricorso il WWF Italia, che ha bloccato il Piano della Provincia di Sondrio per aprire la caccia alla specie protetta.

Paola Brambilla Presidente WWF Lombardia che ha seguito il ricorso ha dichiarato:
 “Grazie al WWF, che non ha mai abbassato la guardia vigilando sui tentativi locali di rendere tutto cacciabile, è salvo lo stambecco, simbolo delle Alpi e della biodiversità alpina”.
“La politica di gestione e conservazione della fauna protetta deve essere un serio e puntuale impegno da parte delle autorità nazionali e va promossa da parte dello Stato, visto che la  fauna non conosce confini ed è patrimonio di tutti, come questa sentenza ribadisce” dichiara Massimiliano Rocco responsabile specie WWF Italia.

La consistenza stimata di stambecco delle Alpi ammonta oggi complessivamente a circa 31 mila capi, tutti derivanti dai circa 100 esemplari sopravvissuti alla caccia indiscriminata all’inizio del 1900 nella sola zone del Parco nazionale del Gran Paradiso. La popolazione è ora divisa in tante popolazioni e sta faticosamente ricolonizzando tutto l’arco alpino.
L’apertura della caccia in provincia di Sondrio avrebbe compromesso il lungo lavoro di reintroduzione. E’ infatti indispensabile per la sopravvivenza della specie che le diverse colonie si possano spostare sul territorio e riprodurre tra loro, mischiando il proprio patrimonio genetico e rafforzando così la loro possibilità di sopravvivenza. La caccia in un’area anche se piccola avrebbe invece costituito un ostacolo a questo processo naturale.
La sentenza è importante anche per la motivazione: la Provincia è stata ritenuta incompetente in materia, visto che spetta solo al Ministro per le politiche forestali  d’intesa con il Ministro dell’Ambiente disporre le variazioni degli elenchi delle specie cacciabili: lo stambecco è materia di importanza nazionale, competenze esclusiva dello Stato e non sono le Province a poter disporre la caccia della specie per soddisfare gli appetiti dei cacciatori valtellinesi.

Un po’ di storia della sentenza:
Nel marzo 2009 la Provincia di Sondrio approva un piano di conservazione, diffusione e gestione dello stambecco, senza la VAS, senza partecipazione delle associazioni ambientaliste, per varare, sotto mentite spoglie, un piano teso a consentire la caccia dello stambecco. Questo inizialmente in provincia di Sondrio, per poi, nel caso in cui il piano fosse passato, allargare l’esperienza a tutto l’areale alpino.
Il WWF  ha fatto ricorso al Presidente della Repubblica nel lontano 2009  depositato ben tre memorie nel corso del procedimento. Il Ministero per le politiche agricole, che inizialmente  sosteneva che il WWF non avesse interesse ad agire, dopo la   memoria WWF ha cambiato idea ammettendo che “la deliberazione impugnata fa riferimento ad un documento nel quale vengono definite nel dettaglio le modalità per una corretta gestione della specie, anche dal punto di vista della fruizione venatoria). E ora il Capo dello Stato ha accolto il ricorso WWF.

Roma, 12 marzo  2012 Ufficio Stampa WWF Italia, 06 84497213/265; 02 83133233; 349 0514472

sabato 10 marzo 2012

Caccia: pratica antica o sport crudele?

Da 20 lunghi anni, l’unica legge italiana contro la caccia e a favore della fauna nazionale, viene ancora diffusamente aggirata.
E’ cosa nota che, secondo un malcostume tutto italiano,  le regole sono fatte per essere disattese e le leggi per essere inapplicate, poi questo pare sia una prassi assai diffusa e consolidata, specialmente se l’oggetto in questione è un tema largamente  dibattuto, che crea malumori e disaccordi,  come la caccia.  Un’attività “ricreativa”, che da anni scatena feroci battaglie tra animalisti  e la  forte lobby dei suoi praticanti e sostenitori.
Infatti da poco è giunta al suo ventesimo anniversario la  legge nazionale  sulla caccia “Legge  11 febbraio 1992, n. 157 , “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, ancora ampiamente male applicata,  nonostante le due decadi ormai  trascorse dalla sua approvazione. La legge 157/92 è ancora l’unica legge italiana per la tutela della fauna selvatica.
Nata e approvata  sulla scia del referendum del 1990 (che proponeva l’abolizione della caccia su tutto il territorio italiano),  è stata una legge “di compromesso”, che ha tentato di salvaguardare la fauna selvatica e le norme europee ed internazionali, pur riconoscendo le istanze del mondo venatorio.
La legge prevede la tutela della fauna selvatica (in particolare, per gli  uccelli selvatici, durante i periodi di nidificazione e migrazione) e dei loro habitat, nel rispetto delle direttive europee. In realtà però la maggior parte delle Regioni continua a disapplicarla, permettendo la caccia per periodi più lunghi o a specie protetteProprio di queste giorni  è la notizia della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato la legge regionale dell’Abruzzo sottolineando il fatto che la Regione, così come molte altre, non ha rispettato l’obbligo imposto dalla legge 157/92,  di fare calendari venatori che durino solo una stagione e con provvedimento amministrativi anzichè con una legge, come avvenuto. “L’auspicio del WWF Italia per il 2012 è che  le Regioni ed i Governi attuino nel concreto e nell’immediato la  protezione  della natura, della fauna selvatica, quindi della  biodiversità, nostro patrimonio e valore insostituibile” dichiara Patrizia Fantilli Direttore Ufficio legale- legislativo WWF Italia. 
Nel 1966, la Lega Nazionale contro la Distruzione degli Uccelli (oggi Lipu) e il WWF iniziarono la battaglia contro gli eccessi della caccia. La fauna (allora definita “selvaggina”)   apparteneva a chi l’uccideva o la catturava. Erano considerati “nocivi” da  uccidere con qualsiasi mezzo, lupi, volpi, faine, martore, donnole, lontre, gatti selvatici, aquile, nibbi, sparvieri, gufi reali, ghiandaie e altre specie.

Poi le cose subirono un sostanziale cambiamento di rotta. Già con la Legge 968 del 1977, grazie alle pressioni degli ambientalisti, e dopo numerose campagne di sensibilizzazione la fauna selvatica fu dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato tutelata nell’interesse della comunità nazionale. La  Direttiva Europea del ‘79 per la conservazione degli uccelli selvatici contribuì, dopo anni, a far sì che la legge 157, modificasse in meglio la normativa precedente, vietando finalmente la caccia ai piccoli uccelli e imponendo la chiusura al 31 gennaio. Inoltre anche la  creazione di aree naturali protette che oggi interessano più del 10% del territorio nazionale, ha contribuito a produrre  risultati eccezionali: dal ritorno di tantissime specie migratrici alla nidificazione di molti uccelli che da secoli, per il disturbo causato dalla caccia, avevano smesso di farlo” ricorda  Fulco Pratesi Presidente onorario WWF Italia. Un ‘altra importante svolta  attualmente si intravede all’orizzonte, infatti in Piemonte ci sarà un referendum sulla caccia, atteso da 25 anni, per prevederne una disciplina più rigorosa: un’importante occasione per i cittadini di esprimersi a favore di una maggiore tutela della fauna.
 
Reiterati gli episodi di mancata osservanza della legge e di scarsa sensibilità alla problematica caccia  in Italia. Basti pensare che la Comunità Europea ha aperto negli anni una serie di procedure di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione della direttiva comunitaria “Uccelli”. In Italia vengono uccisi almeno 100 milioni di animali l’anno, per la maggior parte uccelli di varie specie, ma anche lepri, cinghiali, cervi, caprioli, daini. Cento milioni di animali uccisi per “crudele” divertimento, poiché è chiaro che nelle società occidentali di oggi, la caccia non ricopre più  quel ruolo di sostentamento e  di approvvigionamento  di pelli e cibo,  tipico delle  società antiche.
Quindi un ingente danno alla natura di spaventose  dimensioni, se si rapporta poi, con la  percentuale di quanti fanno di questo “sport” una passione. Secondo gli ultimi dati disponibili forniti da Istat e Ferdaccia,  in Italia il numero dei cacciatori registra un andamento decrescente essendo passati da 1.701.853 nel 1980 (3% dell’allora popolazione italiana) a 751.876, nel 2007 (1,2% dell’attuale popolazione italiana) con una drastica riduzione del 55,8% (57,9%). Attualmente, la maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra i 65 e i 78 anni, e l’età media è in aumento. Risiedono  soprattutto in Toscana ( 110 mila), in Lombardia (100 mila) e in Emilia Romagna (70 mila), ma anche in Piemonte (40 mila), Veneto (46 mila), Lazio (55 mila), Campania (45 mila), Sardegna (46 mila) e Umbria (40 mila).
Ne vale davvero la pena depredare il nostro patrimonio faunistico per questo tipo di attività? Ai posteri con un po’ di coscienza civica l’ardua sentenza.
Pamela Cocco