sabato 10 marzo 2012

Caccia: pratica antica o sport crudele?

Da 20 lunghi anni, l’unica legge italiana contro la caccia e a favore della fauna nazionale, viene ancora diffusamente aggirata.
E’ cosa nota che, secondo un malcostume tutto italiano,  le regole sono fatte per essere disattese e le leggi per essere inapplicate, poi questo pare sia una prassi assai diffusa e consolidata, specialmente se l’oggetto in questione è un tema largamente  dibattuto, che crea malumori e disaccordi,  come la caccia.  Un’attività “ricreativa”, che da anni scatena feroci battaglie tra animalisti  e la  forte lobby dei suoi praticanti e sostenitori.
Infatti da poco è giunta al suo ventesimo anniversario la  legge nazionale  sulla caccia “Legge  11 febbraio 1992, n. 157 , “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, ancora ampiamente male applicata,  nonostante le due decadi ormai  trascorse dalla sua approvazione. La legge 157/92 è ancora l’unica legge italiana per la tutela della fauna selvatica.
Nata e approvata  sulla scia del referendum del 1990 (che proponeva l’abolizione della caccia su tutto il territorio italiano),  è stata una legge “di compromesso”, che ha tentato di salvaguardare la fauna selvatica e le norme europee ed internazionali, pur riconoscendo le istanze del mondo venatorio.
La legge prevede la tutela della fauna selvatica (in particolare, per gli  uccelli selvatici, durante i periodi di nidificazione e migrazione) e dei loro habitat, nel rispetto delle direttive europee. In realtà però la maggior parte delle Regioni continua a disapplicarla, permettendo la caccia per periodi più lunghi o a specie protetteProprio di queste giorni  è la notizia della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato la legge regionale dell’Abruzzo sottolineando il fatto che la Regione, così come molte altre, non ha rispettato l’obbligo imposto dalla legge 157/92,  di fare calendari venatori che durino solo una stagione e con provvedimento amministrativi anzichè con una legge, come avvenuto. “L’auspicio del WWF Italia per il 2012 è che  le Regioni ed i Governi attuino nel concreto e nell’immediato la  protezione  della natura, della fauna selvatica, quindi della  biodiversità, nostro patrimonio e valore insostituibile” dichiara Patrizia Fantilli Direttore Ufficio legale- legislativo WWF Italia. 
Nel 1966, la Lega Nazionale contro la Distruzione degli Uccelli (oggi Lipu) e il WWF iniziarono la battaglia contro gli eccessi della caccia. La fauna (allora definita “selvaggina”)   apparteneva a chi l’uccideva o la catturava. Erano considerati “nocivi” da  uccidere con qualsiasi mezzo, lupi, volpi, faine, martore, donnole, lontre, gatti selvatici, aquile, nibbi, sparvieri, gufi reali, ghiandaie e altre specie.

Poi le cose subirono un sostanziale cambiamento di rotta. Già con la Legge 968 del 1977, grazie alle pressioni degli ambientalisti, e dopo numerose campagne di sensibilizzazione la fauna selvatica fu dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato tutelata nell’interesse della comunità nazionale. La  Direttiva Europea del ‘79 per la conservazione degli uccelli selvatici contribuì, dopo anni, a far sì che la legge 157, modificasse in meglio la normativa precedente, vietando finalmente la caccia ai piccoli uccelli e imponendo la chiusura al 31 gennaio. Inoltre anche la  creazione di aree naturali protette che oggi interessano più del 10% del territorio nazionale, ha contribuito a produrre  risultati eccezionali: dal ritorno di tantissime specie migratrici alla nidificazione di molti uccelli che da secoli, per il disturbo causato dalla caccia, avevano smesso di farlo” ricorda  Fulco Pratesi Presidente onorario WWF Italia. Un ‘altra importante svolta  attualmente si intravede all’orizzonte, infatti in Piemonte ci sarà un referendum sulla caccia, atteso da 25 anni, per prevederne una disciplina più rigorosa: un’importante occasione per i cittadini di esprimersi a favore di una maggiore tutela della fauna.
 
Reiterati gli episodi di mancata osservanza della legge e di scarsa sensibilità alla problematica caccia  in Italia. Basti pensare che la Comunità Europea ha aperto negli anni una serie di procedure di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione della direttiva comunitaria “Uccelli”. In Italia vengono uccisi almeno 100 milioni di animali l’anno, per la maggior parte uccelli di varie specie, ma anche lepri, cinghiali, cervi, caprioli, daini. Cento milioni di animali uccisi per “crudele” divertimento, poiché è chiaro che nelle società occidentali di oggi, la caccia non ricopre più  quel ruolo di sostentamento e  di approvvigionamento  di pelli e cibo,  tipico delle  società antiche.
Quindi un ingente danno alla natura di spaventose  dimensioni, se si rapporta poi, con la  percentuale di quanti fanno di questo “sport” una passione. Secondo gli ultimi dati disponibili forniti da Istat e Ferdaccia,  in Italia il numero dei cacciatori registra un andamento decrescente essendo passati da 1.701.853 nel 1980 (3% dell’allora popolazione italiana) a 751.876, nel 2007 (1,2% dell’attuale popolazione italiana) con una drastica riduzione del 55,8% (57,9%). Attualmente, la maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra i 65 e i 78 anni, e l’età media è in aumento. Risiedono  soprattutto in Toscana ( 110 mila), in Lombardia (100 mila) e in Emilia Romagna (70 mila), ma anche in Piemonte (40 mila), Veneto (46 mila), Lazio (55 mila), Campania (45 mila), Sardegna (46 mila) e Umbria (40 mila).
Ne vale davvero la pena depredare il nostro patrimonio faunistico per questo tipo di attività? Ai posteri con un po’ di coscienza civica l’ardua sentenza.
Pamela Cocco

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