Mancano all’appello numerose specie di animali che si vedono normalmente in Italia
di Oscar Grazioli
Non so se anche voi ve ne siete accorti, ma mancano all’appello numerose comunissime specie di animali che si vedono normalmente, almeno qua da noi nella pianura Padana, nei prati, sugli scalini di una chiesa, sui balconi di casa. Sono le farfalle diurne e notturne, sono le lucertole, sono le volgari bisce d’acqua, sono gli insetti più usuali: api, vespe, calabroni, coleotteri vari. Una semplicissima osservazione: io ho due gatti e abito al secondo piano. Ogni estate decine di lucertole ci rimettono la coda e altrettante la vita, a causa del gatto maschio, predatore incallito di qualunque cosa strisci, saltelli o voli (con debita eccezione per api e vespe). Quest’anno è rimasto a bocca asciutta: qualche rara falena notturna, ma di lucertole ne abbiamo vista una sola, sul balcone, in tre mesi.
Alla periferia della mia città, vicino al Campovolo, c’è un piccolo fiumiciattolo dove mio padre, quand’ero bambino, mi portava ad acchiappare rane, salamandre, tritoni e bisce, visto che già allora mi dilettavo di animali e non avevo paura di nulla, eccettuati grossi ragni e scorpioni che tenevo a debita distanza. Ci passo ancora, quando ho un paio d’ore di tempo e mi metto lì con il binocolo perché c’è sempre qualcosa da vedere. Non come allora (magari!), ma, con un po’ di fortuna, si può vedere una natrice tessellata a caccia di una rana. Due giorni fa ci sono passato ed è tutto secco, inaridito, una sterpaglia di radici secche e basta. Nessun segno di vita. Non vedo più neanche i merli e non sento cantare, la mattina, l’usignolo o la capinera, ma neanche il passero. Tuba qualche tortora e sento il verso aspro del picchio verde. Non vedo più i gufetti che si nascondono, stando immobili di giorno, sui rami dei platani. I campi, i prati, i boschetti sono riarsi, hanno un colore giallo brillante che denuncia carenze, malattie, sete. Il colore dell’itterizia fatale, colpisce anche vecchie piante le cui foglie si accartocciano e si sbriciolano tra le mani. Non c’è bisogno di essere dei botanici, degli zoologi o degli agricoltori, per capire che nel Veneto come in Emilia, in Toscana come in Campani, nel Lazio come in Sicilia quest’estate torrida e senza pioggia sta creando incalcolabili danni a flora e fauna.
Ho parlato, in questi giorni, con alcuni cacciatori. I più seri. si rifiutano di partecipare alle cosiddette preaperture, quelle cacce anticipate ai primi di settembre che le lobby dei cacciatori, nel tempo, hanno strappato a politici senza palle. Altri se ne fregano della siccità e non vedono l’ora di sparare ad alzavole, marzaiole, beccaccini, merli e un’altra dozzina di specie di uccelli, oltre a camoscio, volpe, cinghiale e altri mammiferi. Si tratta di animali messi duramente a prova dalla mancanza di acqua e cibo, alcuni dei quali hanno ancora i piccoli in svezzamento. Cosa ci vorrebbe ad avere un po’ di buon senso, oltre che di umanità, nel riconoscere che sparare in queste condizioni è una sorta di omicidio di primo grado? Cosa ci vorrebbe a dire”D’accordo tutti: lasciamoli stare per il mese di settembre quando (speriamo) arriveranno pioggia fresco a ritemprare fisici (anche i nostri) ormai spossati? Poi imbracceremo i nostri fucili.”
Ma non accade nulla di tutto ciò. Il buonsenso è merce rara. A parte qualche regione bloccata dal TAR (Campania), le altre permetteranno il massacro, rendendo sempre più impari il duello tra un fucile automatico (sì, va bene “semi” per i puristi) e ali o zoccoli ormai sfiniti da fame e sete. Amen.
24 agosto 2012
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