FRODE. In aula ha testimoniato l'agente
Avrebbe ucciso un capriolo, ma dell'animale non c'era traccia
Fu un allevatore ad avvisare i carabinieri che a loro volta chiesero l'intervento delle guardie provinciali: aveva sentito alcuni spari nelle vicinanze di casa sua, notato un uomo caricare in macchina quello che era convinto fosse un capriolo e riuscì anche ad annotare la targa. Tutte informazioni che permisero agli agenti della Provinciale di recarsi nel giro di poco tempo (e comunque nell'arco della giornata) a casa del cacciatore con un decreto di perquisizione. Del capriolo non c'era traccia, sul fondo del box nel bagagliaio c'era una goccia di sangue che il cane delle guardie leccò. E sulla base del principio che «cane non mangia cane» e che quindi quel sangue doveva essere necessariamente di un animale diverso dal segugio che era stato sistemato nel cassone, l'uomo è stato accusato di aver cacciato in violazione della legge e per questo, difeso dall'avvocato Bruno Gazzola, è comparso a processo, davanti al giudice Cristina Angeletti. Un episodio che risale all'ottobre 2009 e si verificò (o almeno si presuppone si sia verificato) in Valpantena. L'allevatore sentì gli spari nelle vicinanze di casa e chiamò i militari, annotò la targa dell'auto e dopo le verifiche fu possibile risalire al cacciatore. La perquisizione interessò sia l'abitazione sia la macchina e l'unico esito che diede fu quella goccia di sangue. Ieri, davanti al giudice, l'imputato ha spiegato che in effetti quel giorno era andato a caccia con un amico, non avevano preso niente e quindi, sconsolato, aveva caricato in auto il segugio e se ne era tornato a casa. Quando arrivarono le guardie provinciali (e con loro avevano un cane) controllarono ovunque ma non trovarono nulla che potesse far ipotizzare che il capriolo fosse stato caricato in auto o trasferito in casa. Solo quella macchia di sangue. Ieri ha deposto anche l'agente della Provinciale, e alla domanda della difesa circa il collegamento con il capriolo ha risposto che poiché il cane leccò quella macchia esclusero che potesse trattarsi del sangue del segugio. Il giudice ha rilevato che il detto ha un significato differente e che viene utilizzato in altri contesti, il difensore alla luce di ciò ha chiesto che venisse acquisita la consulenza del suo esperto (un veterinario) e il processo è stato rinviato ad ottobre per la discussione e la lettura della sentenza.F.M.
Fonte: larena.it del 17 luglio 2012
Nessun commento:
Posta un commento