martedì 31 luglio 2012

Chiudere subito la caccia a 19 specie di uccelli a rischio. E l'Italia tace


Comunicato stampa 30 luglio 2012

Chiudere subito la caccia a 19 specie di uccelli a rischio. E l'Italia tace

Andrea Zanoni (IdV) presenta interrogazione parlamentare alla Commissione europea: l'Italia attui i piani specifici di conservazione di 19 specie di uccelli a rischio altrimenti si chiuda subito la caccia nei loro confronti. Commissario Ue avverte: “A settembre niente caccia in deroga o scattano le sanzioni”

«L'Ue spinga l'Italia ad adottare prima possibile i piani specifici di gestione di 19 specie di uccelli a rischio a causa della caccia come previsto dalla direttiva comunitaria». Lo chiede Andrea Zanoni, Eurodeputato IdV e vice presidente dell'intergruppo benessere degli Animali al Parlamento europeo con un'interrogazione alla Commissione europea. “Questi uccelli sono a rischio a causa della caccia autorizzata in molte regioni italiane. Le autorità non si degnano nemmeno di rispondere ai solleciti delle associazioni e dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Evidente la violazione della direttiva Ue Uccelli”.

Allodola, Moriglione, Pernice rossa, Coturnice, Pavoncella, Combattente, Canapiglia, Codone, Marzaiola, Mestolone, Moretta, Fagiano di monte, Pernice sarda, Starna, Quaglia, Frullino, Beccacia, Beccaccino, Tortora. Queste sono le specie che rientrano nella classificazione prevista dal Sistema SPEC (specie europee di interesse conservazionistico) sullo stato di conservazione degli uccelli europei elaborata da BirdLife International e che in Italia nonostante la loro popolazione sia in costante declino continuano ad essere cacciate accanitamente.

La Direttiva Uccelli (2009/147/CE) stabilisce che gli stati membri adottino le misure necessarie per mantenere la popolazione di tutte le specie di uccelli ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, cosa che in Italia non è mai stata fatta – spiega Zanoni – Peggio ancora le autorità italiane, regionali e nazionali, non si sono nemmeno degnate di rispondere alla lettera del 12/03/2012 con cui alcune associazioni italiane (Amici della Terra, Animalisti Italiani, ENPA, Fare Verde, LAC, LAV, Legambiente, LIPU, VAS, WWF Italia) hanno evidenziato la violazione della direttiva Uccelli che stabilisce l’adozione di piani di gestione nazionali per le dette specie oggetto di caccia. Solo l'ISPRA ha risposto in data 19/03/2012 dando disponibilità alla redazione dei piani di gestione qualora vengano richiesti dalle pubbliche amministrazioni - aggiunge l'Eurodeputato - Senza i piani di gestione per queste 19 specie la caccia va chiusa immediatamente. Vorrà dire che l'unico modo per proteggerle sarà quello di farle inserire nell'allegato delle specie protette quando nel 2014 verrà revisionata la Direttiva Uccelli”.

In questo modo l'Italia si affossa sempre di più nell'illegalità venatoria e si avvicina inesorabilmente alle multe che arriveranno presto da Bruxelles”, conclude l'Eurodeputato ricordando la lettera che il Commissario Ue all'Ambiente Janez Potočnik ha mandato il 25 maggio 2012 al Ministro italiano Corrado Clini avvertendolo dell'inevitabilità delle multe se, ad esempio, a settembre verrà autorizzata di nuovo la caccia in deroga in regioni come Veneto e Lombardia.

Ufficio Stampa On. Andrea Zanoni
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lunedì 30 luglio 2012

Casalbordino (Ch). Cadavere rinvenuto nelle campagne: un incidente di caccia?

Casalbordino. Il cadavere di un uomo è stato trovato questa mattina all'alba nelle campagne di Casalbordino (località San Pietro), lungo la strada statale 16, a pochi chilometri dallo svincolo autostradale Vasto Nord dell'A14. Un primo esame ha evidenziato una ferita da arma da fuoco alla gamba sinistra, mentre i militari sono risaliti all’identità dell’uomo: si tratta un pensionato del posto, Gabriele Di Tullio, di 54 anni. Il terreno, sul quale è stato trovato, è di proprietà della famiglia (precisamente del fratello), che lo aveva visto l'ultima volta nella serata di ieri.


A trovare il corpo, intorno alle 5 di stamane, è stato un nipote che si era recato al lavoro sul luogo del delitto. L'auto della vittima, una Opel Corsa Bianca, era parcheggiata sul ciglio della strada.

Sul luogo del ritrovamento sono giunti il capitano della compagnia di Ortona, Gianfilippo Manconi, e un magistrato della Procura della Repubblica di Vasto, Giancarlo Ciani, insieme a i carabinieri della stazione di Casalbordino.

Secondo gli inquirenti il colpo esploso contro Gabriele Di Tullio gli ha trapassato la gamba recidendogli, molto probabilmente, l'arteria femorale. Le indagini, al momento, non escludono alcuna ipotesi, neanche quella che a sparare possa essere stato qualche cacciatore di frodo (la caccia è chiusa) scambiando l'uomo per un animale. 

"Ci sono accertamenti da fare, non scartiamo nulla", è stato il commento del colonnello Cavallari. Intanto il corpo della vittima e' stato portato all'obitorio dell'ospedale di Vasto dove domani sarà eseguito l'esame autoptico. 

Morte causata da un incidente di caccia al cinghiale. E' stato un colpo di fucile sparato da un bracconiere, che si presume ritenesse di avere visto muoversi, nella notte, un cinghiale, a provocare la morte di Gabriele Di Tullio. Lo indicano i primi riscontri di carabinieri e medico legale che hanno trovato sul corpo i fori di entrata e uscita di un pallettone per cinghiali. Di Tullio sarebbe morto per dissanguamento. Il cacciatore potrebbe essere fuggito per paura.

Fonte: cityrumors.it del 30 luglio 2012

Livorno. Incidente di caccia: spara al cinghiale e uccide il suocero

Livorno, 26 luglio 2012 - Incidente di caccia: un uomo è morto e un altro è rimasto ferito. E' successo durante una battuta di caccia di frodo al cinghiale la notte scorsa nei boschi di Cecina (Livorno).
A perdere la vita è stato Raffaelangelo Pisano, 48 anni
In base  a una prima ricostruzione al vaglio dei carabinieri, i cacciatori impegnati nella battuta sarebbero stati tre, tutti di Riparbella (Pisa): un giovane di 28 anni avrebbe sparato accidentalmente al suocero, Pisano appunto, uccidendolo, mentre un terzo cacciatore, di 45 anni è rimasto ferito a un ginocchio ma è già stato dimesso.
Il ventottenne risulta ora indagato per omicidio colposo. Pisano è stato colpito al costato e al volto. Un pallino si sarebbe conficcato nel cuore.
La chiamata di soccorso al 118 e' arrivata alle 23.57 della scorsa notte. Sul posto, oltre ai carabinieri di Volterra (Pisa), sono intervenute un'ambulanza di Cecina con medico a bordo e una di Bibbona. I proiettili sono stati sparati da un fucile calibro 12. I cacciatori avevano con loro visori notturni e torce.

giovedì 19 luglio 2012

Asti. Proiettile per la caccia al cinghiale si conficca nella credenza della cucina

Forse sparato durante una battuta di caccia al cinghiale

MASSIMO COPPERO

Poteva causare una tragedia. L’episodio, sul quale indaga la polizia, è avvenuto nella tarda serata di mercoledì a Sessant, in una casa a pochi metri dalla provinciale Asti-Chivasso. Un proiettile di fucile, probabilmente sparato nel corso di una battuta di caccia al cinghiale, ha bucato il vetro della finestra al piano terra della casa di Silvio Boano, 36 anni, il panettiere della frazione. La pallottola si è conficcata nella credenza della cucina Nella stanza a fianco si era da poco coricata, dopo aver terminato di riordinare la tavola, l’anziana madre di Boano. 





Verona. Goccia di sangue nel bagagliaio, cacciatore nei guai


FRODE. In aula ha testimoniato l'agente

Avrebbe ucciso un capriolo, ma dell'animale non c'era traccia

Fu un allevatore ad avvisare i carabinieri che a loro volta chiesero l'intervento delle guardie provinciali: aveva sentito alcuni spari nelle vicinanze di casa sua, notato un uomo caricare in macchina quello che era convinto fosse un capriolo e riuscì anche ad annotare la targa. Tutte informazioni che permisero agli agenti della Provinciale di recarsi nel giro di poco tempo (e comunque nell'arco della giornata) a casa del cacciatore con un decreto di perquisizione. Del capriolo non c'era traccia, sul fondo del box nel bagagliaio c'era una goccia di sangue che il cane delle guardie leccò. E sulla base del principio che «cane non mangia cane» e che quindi quel sangue doveva essere necessariamente di un animale diverso dal segugio che era stato sistemato nel cassone, l'uomo è stato accusato di aver cacciato in violazione della legge e per questo, difeso dall'avvocato Bruno Gazzola, è comparso a processo, davanti al giudice Cristina Angeletti. Un episodio che risale all'ottobre 2009 e si verificò (o almeno si presuppone si sia verificato) in Valpantena. L'allevatore sentì gli spari nelle vicinanze di casa e chiamò i militari, annotò la targa dell'auto e dopo le verifiche fu possibile risalire al cacciatore. La perquisizione interessò sia l'abitazione sia la macchina e l'unico esito che diede fu quella goccia di sangue. Ieri, davanti al giudice, l'imputato ha spiegato che in effetti quel giorno era andato a caccia con un amico, non avevano preso niente e quindi, sconsolato, aveva caricato in auto il segugio e se ne era tornato a casa. Quando arrivarono le guardie provinciali (e con loro avevano un cane) controllarono ovunque ma non trovarono nulla che potesse far ipotizzare che il capriolo fosse stato caricato in auto o trasferito in casa. Solo quella macchia di sangue. Ieri ha deposto anche l'agente della Provinciale, e alla domanda della difesa circa il collegamento con il capriolo ha risposto che poiché il cane leccò quella macchia esclusero che potesse trattarsi del sangue del segugio. Il giudice ha rilevato che il detto ha un significato differente e che viene utilizzato in altri contesti, il difensore alla luce di ciò ha chiesto che venisse acquisita la consulenza del suo esperto (un veterinario) e il processo è stato rinviato ad ottobre per la discussione e la lettura della sentenza.F.M.

Cacciatore genovese condannato a otto mesi per abuso edilizio


COMUNICATO STAMPA

WWF: Cacciatore genovese condannato a otto mesi per abuso edilizio.
 
Otto mesi di reclusione, pena sospesa e non menzione sul casellario giudiziario in quanto incensurato, è la sentenza emessa dal Giudice Monocratico del Tribunale di Genova, dott. Lepri, nei confronti di un cacciatore sessantenne genovese che aveva costruito un appostamento di caccia fisso.
Nel 2007 il cacciatore aveva realizzato un appostamento fisso di caccia agli uccelli migratori, con richiami vivi, in località Grignolo nel comune di Masone  in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del  D.M. 24 aprile 1985. La struttura era chiusa sui quattro lati, provvista di tetto, porta di accesso ed era stata costruita con pali e tavole di legno, rivestita di  lamiera zincata ed all’interno era stata collocata una stufa in ghisa con canna fumaria.  Le guardie giurate del WWF avevano proceduto agli accertamenti, anche mediante la consultazione delle foto aree della Regione Liguria, e l’appostamento di caccia era risultato realizzato senza permesso di costruire e sprovvisto di  autorizzazione paesistica.  Nel maggio  2007 il cacciatore aveva provveduto alla demolizione a seguito di ingiunzione del comune di Masone. La demolizione della struttura aveva “estinto” il reato edilizio ma non il reato ambientale, previsto dall’articolo 181 1° BIS lett. A del D.L.gs 42/04 meglio conosciuto come Codice Urbani. Guglielmo Jansen, coordinatore regionale delle Guardie del WWF Italia dichiara: “è una sentenza importante, in linea con i pronunciamenti di altri Tribunali e della Suprema Corte di Cassazione penale che con numerose sentenze ha sempre dato una corretta lettura del Codice Urbani, affermando che il reato paesaggistico non decade con la demolizione della costruzione abusivamente realizzata”. La difesa dell’imputato è stata impostata sul fatto che la struttura era stata autorizzata dalla Provincia di Genova e che non era in zona vincolata, entrambe le tesi non hanno avuto riscontro positivo da parte del Giudice in quanto l’autorizzazione rilasciata al cacciatore dalla Amministrazione Provinciale ha il solo valore ai fini venatori e tutta l’area è soggetta a vincolo paesistico.  
 
Genova, 18 luglio 2012
 
Ufficio stampa WWF Sezione Liguria.

mercoledì 11 luglio 2012

Loro caccia e noi paghiamo: quanto costano i cacciatori all'erario



Quattro milioni di contributi pubblici all'anno erogati dallo Stato alle associazioni venatorie e ulteriori decine di milioni di euro per le protratte infrazioni da parte dell'Italia al diritto comunitario, commesse dal legislatore nazionale e regionale nell'interesse dei cacciatori e delle lobby che li sostengono. Ecco quanto costa agli italiani il "divertimento" di qualche migliaia di cacciatori: loro sparano e noi paghiamo. E' questo il tema di una dettagliata interrogazione parlamentare presentata oggi dall'ex ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla - strenua sostenitrice dell'abolizione della caccia - ai ministri dell'Economia, delle Politiche agricole, dell'Ambiente e degli Affari europei in materia di contributi pubblici che affluiscono annualmente nelle casse delle associazioni riconosciute dai cacciatori e sulle infrazioni al diritto europeo in materia venatoria. 


"Mentre si carica sugli italiani la soma dell'IMU, mentre si tagliano le pensioni, si mandano a spasso gli esodati, si alza l'IVA, si taglia la pubblica amministrazione, mentre enti locali e sanità soffrono – osserva l'on. Brambilla nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei deputati - non si comprende per quale ragione dovremmo continuare a versare una somma spropositata di denaro pubblico a una risicatissima minoranza di cacciatori affinchè si diverta a fare scempio del nostro patrimonio faunistico e, non basatasse, dovremmo anche correre il pericolo di pagare "cash" ingenti somme all'Ue per consentire a costoro di sparare qualche giorno in più a qualche specie in più. Perché non chiediamo ai cittadini se sono d'accordo?" Per quanto riguarda l'erogazione di contributi statali alle associazioni venatorie, l'art.24 della legge 157/1992, infatti, istituisce un fondo alimentato da un'addizionale alla tassa sulla licenza di porto di fucile "anche per uso di caccia". Il 95 per cento di questo fondo è suddiviso tra le associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale – cioè Federcaccia, Arcicaccia, Libera Caccia, Enalcaccia, Italcaccia, Anuu – "in proporzione – dice la legge - alla rispettiva, documentata consistenza associativa".

L'interrogazione chiede a quanto ammontano le risorse affluite nel fondo durante le ultime cinque annualità per cui sono disponibili i dati (secondo sommarie informazioni raccolte, sembra che si tratti di circa 4 milioni l'anno) e a quanto ammontano, nello stesso periodo di tempo, le risorse ripartite tra le associazioni venatorie riconosciute e quante ne abbiano percepite le singole associazioni, se siano stati effettuati periodici controlli sulla "consistenza associativa" delle beneficiarie o se le risorse siano state erogate sulla base di una semplice "autocertificazione" delle associazioni, come siano stati effettuati questi controlli e se siano mai emerse irregolarità o difformità rispetto alle dichiarazioni presentate dalle associazioni. Tutto questo perché i ministeri interessati, nonostante l'esplicita previsione degli arrt.1 e 2 del DpR 118/2000 sui beneficiari di provvidenze di natura economica, non rendono pubblici, in forma facilmente accessibile ai cittadini, i dati sui versamenti alle associazioni venatorie. Inoltre, sottolinea la parlamentare, " risulta che parte di questi fondi sia utilizzata dalle associazioni per pagare il cospicuo apparato burocratico e i non trascurabili emolumenti dei vertici". Non c'è solo un problema di trasparenza, ma anche di opportunità. 

"Non so – commenta Michela Vittoria Brambilla - se questo tipo di erogazioni abbia avuto un senso in passato, se non come "pegno" del patto tra partiti ed associazioni venatorie. Mi sembrano ingiustificabili oggi, in tempi di profonda crisi, per finanziare indirettamente un'attività che incide pesantemente sul patrimonio faunistico che è di tutti, crea una grave ferita all'ambiente, riempie di piombo le nostre campagne e le svuota di turisti. Ed è certamente inaccettabile anche la sostanziale assenza di controlli sulla fine che fanno questi soldi pubblici". In aggiunta ai contributi pubblici erogati dallo Stato alle associazioni venatorie, nei costi della caccia per gli italiani vanno considerati anche quelli derivanti dalle procedure di infrazione al diritto europeo, commesse dal legislatore nazionale e, soprattutto regionale nell'interesse dei cacciatori e delle lobby che li sostengono. "E' difficile stabilire quanti milioni di euro il nostro Paese dovrà pagare per le infrazioni al diritto dell'Unione commesse dal legislatore nazionale e regionale nell'interesse dei cacciatori e delle lobby che li sostengono – continua l'on. Michela Vittoria Brambilla - Sarà comunque troppo, per la stragrande maggioranza di italiani che non hanno mai imbracciato una doppietta. Dobbiamo quindi garantire che qualsiasi iniziativa riguardante le specie protette sia autorizzata solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata, riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all'art. 9, nn. 1 e 2, della "direttiva uccelli". Solo in questo modo sarà possibile limitare i danni del contenzioso con la Commissione – che ci costerà comunque – ed evitare per il futuro che le istituzioni italiane, e soprattutto le Regioni, possano discostarsi dalla normativa europea".
Per chiudere il contenzioso con l'Ue, afferma l'ex ministro del Turismo, "occorre innanzitutto imporre alle Regioni di adottare deroghe solo con provvedimenti amministrativi, per consentire al governo di agire con tempestività ed efficacia se riscontra difformità rispetto alle norme europee. L'ultima trovata delle lobby dei cacciatori, e delle Regioni che le assecondano, è approvare i calendari venatori con leggi regionali, in modo da sfuggire al controllo diretto del governo. Fortunatamente la Corte costituzionale ha censurato questa pratica. Un secondo punto di essenziale importanza –prosegue Michela Vittoria Brambilla -è il rafforzamento, non l'indebolimento, del ruolo dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Oggi le deroghe possono essere applicate "sentito l'Ispra o gli istituti riconosciuti a livello regionale". E' invece pericoloso, a mio avviso, equiparare il parere dell'Ispra a quello di istituti legati al territorio, sia pure Università, che potrebbero essere più facilmente condizionati dalla politica locale. 
Bisogna inoltre potenziare e specificare i controlli sulle attività dichiarate "in deroga", per avere certezza del numero effettivo di esemplari abbattuti. Attualmente sono in corso 4 procedure ai sensi dell'art.260 del Trattato sul funzionamento dell'Ue (applicazione di sanzioni ad uno Stato membro che non si sia conformato ad una sentenza della Corte di Giustizia nella quale viene constatato un inadempimento del predetto Stato), tutte per violazione della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici. Allo Stato cioè viene contestato un inadempimento, ulteriore ed autonomo, consistente nella mancata adozione dei provvedimenti necessari all'esecuzione della sentenza che ha accertato la violazione del diritto dell'Unione. Questa seconda procedura, promossa dalla Commissione con una messa in mora, si conclude, in caso di persistente inadempimento, con un giudizio davanti alla Corte di Giustizia europea e l'irrogazione di una sanzione pecuniaria che può essere pesantissima, in relazione alla gravità e alla durata dell'infrazione, alla capacità finanziaria dello Stato membro, all'efficacia dissuasiva cui il provvedimento mira. Dall'analisi delle 4 infrazioni – la prima sentenza è del 15 maggio 2008, l'ultima del 3 marzo 2011 – risulta che si tratta di violazioni prolungate, ripetute e sistematiche. 
Ed è opinione comune tra gli esperti che possano comportare "una punizione esemplare" per il nostro Paese, che resta uno dei più scorretti dell'Unione. La commissione ha a disposizione due strumenti sanzionatori che può usare anche cumulativamente. Il primo è la somma forfettaria, una "multa" che punisce la "lesione al principio di legalità". Per l'Italia il minimo è 8 milioni e 854 mila euro, ma la cifra può salire di molto, fino a decine e decine di milioni, in relazione alla lunghezza e alla gravità dell'infrazione. Ancora più preoccupante è la penalità di mora, che può arrivare ad un massimo di 652.800 euro al giorno, secondo la gravità e la durata dell'infrazione e sarà applicata a decorrere dalla seconda sentenza.

martedì 3 luglio 2012

TAR Toscana: il contenimento dei cinghiali va fatto senza l'ausilio dell'attività venatoria.



Contenimento dei cinghiali e fondi chiusi, il Tar della Toscana da torto alla Provincia di Pisa
E' stata pubblicata la sentenza 935 del Tribunale amministrativo della Toscana Sez. III,  con  la quale il Giudice amministrativo,  pur rilevando che la Provincia di Pisa «ha ritenuto imprescindibile l'esercizio in loco della attività venatoria, con la quale ridurre la densità faunistica delle specie nocive (cinghiale)», osserva che «L'obiettivo della riduzione dei danni arrecati dalla fauna va perseguito con gli interventi di contenimento numerico previsti dall'articolo 19 della Legge 157/1992 e dall'articolo 37 della L. R. 3/1994 e non già attraverso l'attività venatoria».
Il ricorso contro la "Determinazione di diniego richieste Aree sottratte alla gestione programmata della caccia ai sensi dell'art. 25 L.R. 3/94, Comune di Chianni" adottata nel 2007 dal Dipartimento programmazione territoriale ed economica della Provincia di Pisa, era stato presentato da un folto gruppo di proprietari di terreni agricoli a Chianni e dall'Uione agricoltori della Provincia di Pisa, con l'intervento ad adiuvandum della Lega abolizione caccia.
I  ricorrenti, proprietari di fondi rustici  contigui a Chianni che si estendono sui 135 ettari, avevano chiesto alla Provincia che  i loro terreni fossero esclusi dalla gestione programmata della caccia, sia in base alla legge nazionale 157 che alla normativa regionale, in particolare la legge 292/1994 "Indirizzi regionali di programmazione faunistico-venatoria" «Che, come indicato alla lett. a) dell'art. 72 cit., l'area oggetto della domanda di esclusione dalla gestione programmata della caccia apparteneva a diversi proprietari tra di loro confinanti, aveva una superficie di ampiezza superiore a 100 Ha e presentava caratteristiche ambientali tali da consentire lo svolgimento di un'azione di tutela e salvaguardia della fauna selvatica; che, come previsto dallo stesso art. 72 e della ricordata legislazione statale di settore, sui fondi oggetto della domanda venivano svolte attività di rilevante interesse economico, sociale e ambientale».
Le aziende agricole interessate «Utilizzavano metodi biologici e aderenti ai Consorzi Aiab ed Ecocert, erano sede di allevamento di specie a rischio di estinzione (asino dell'Amiata) e oggetto di progetti di ricerca e conservazione; ospitavano, occupando una percentuale superiore al 50% dell'area, strutture di ricezione turistica, in quanto nei suddetti fondi rustici avevano sede aziende agrituristiche, realtà economica individuata tra gli obiettivi strategici del Piano Territoriale di Coordinamento provinciale per il Sistema delle Colline della Valdera». Inoltre «L'area e le strutture ricettive in essa ricadenti erano interessate da iniziative provinciali a sostegno del turismo ippico, ossia il c.d. "Progetto dell'Ippovia"».Tutte attività economiche che la caccia avrebbe danneggiato causando «Un notevole danno economico alle aziende agrituristiche coinvolte dalla richiesta», non consentendo «La necessaria valorizzazione del patrimonio naturalistico presente, il quale dovrebbe costituire, invece, il punto di forza di dette attività».
La Provincia, in base al Piano faunistico venatorio provinciale 2005-2010 e ad una relazione tecnica, decideva di non accogliere le richieste di esclusione della caccia «Perché contrastano con l'attuazione della pianificazione faunistico-venatoria provinciale, come specificato nella relazione tecnica e come previsto dall'art. 72, 1° comma, della DCR 292/1994». La relazione tecnica allegata dice che la Provincia «Ha valutato che l'esclusione dei fondi in questione dalla gestione programmata della caccia avrebbe ostacolato l'attuazione del Piano faunistico venatorio provinciale, in particolare degli obiettivi contenuti nella Sezione "Proposte gestionali ed Indirizzi generali di Piano", sul presupposto che la presenza di ungulati su tali fondi, e in specie del cinghiale, in difetto di attività venatoria avrebbe determinato danni alle colture agricole presenti, laddove la tutela delle coltivazioni agricole rappresenta una delle finalità precipue della stessa pianificazione faunistica venatoria provinciale».
Secondo i ricorrenti invece il provvedimento e il parere tecnico erano illegittimi perché violavano la legge regionale e per eccesso di potere rispetto alla legge nazionale 157, perché le richieste di esclusione dei fondi dall'esercizio della caccia non ostacolerebbe l'attuazione della pianificazione faunistico-venatoria della L.R.T.n.3/1994, mentre gli atti impugnati  non avrebbero  tenuto conto  degli interessi coinvolti, come il  diritto di libera iniziativa economica e di proprietà che prevale sull'esercizio della caccia.
La Lega per l'abolizione della caccia (Lac) si è associata al terzo motivo del ricorso: «"Violazione di legge (art. 1, comma II, del Protocollo n. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; artt. 11 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; violazione dell'art. 21, I comma, Cost. e dell'art. 42, II comma, Cost.)", in quanto gli atti impugnati violerebbero la libertà di pensiero e le convinzioni etiche dei proprietari dei fondi, contrari all'esercizio venatorio sulle loro proprietà, e detta violazione comporterebbe un disequilibrio tra gli interessi contrapposti a svantaggio delle convinzioni etiche dei proprietari».
Il Tar ha detto che il ricorso era fondato e, ripercorrendo la normativa e gli obblighi della Provincia, ricorda che «E' pacifico, dunque, che secondo la richiamata disciplina le richieste dei proprietari ritualmente proposte per escludere i propri fondi dall'esercizio della caccia debbono essere accolte quando non ostacolino l'attuazione della pianificazione faunistico-venatoria». Ma la provincia ha respinto le istanze ritenendo che avrebbero ostacolato l'attuazione della Pianificazione faunistico-venatoria provinciale.
Ma la sentenza del Tar fa rilevare che «In realtà, a ben vedere, per i territori in esame il Piano Faunistico Venatorio Provinciale 2005-2010 prevede tra gli"Obiettivi strategici" da perseguire la prevenzione dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e forestali a favore della tutela del lavoro agricolo, ma tale scopo è perseguito dalla stessa disciplina di Piano e dalla stessa normativa di settore, non già tramite l'esercizio dell'attività venatoria, ma tramite altro, diverso e specifico istituto, ossia gli interventi di contenimento numerico di cui agli artt. 19 della legge n. 157/1992 e 37 della L.R. n. 3/1994, così come dedotto con il primo motivo di ricorso. Il controllo previsto dall'art. 19 della legge n. 157/1992 e, per la Regione Toscana, dall'art. 37 della L.R. n. 3/1994, costituisce, infatti, un istituto di carattere generale, tanto che la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale configura detta norma statale quale "principio fondamentale della materia a norma dell'art. 117 Cost. tale da condizionare e vincolare la potestà legislativa regionale" (Corte Costituzionale 21 ottobre 2005 n. 392 e n. 135 del 2001)».
Per  questo, secondo il Tar della Toscana «Risulta illegittima la motivazione su cui si fonda il provvedimento impugnato, con il quale si è ritenuto che la tutela delle colture agricole minacciate da un elevato numero di cinghiali fosse perseguibile solo con l'esercizio dell'attività venatoria e non già mediante l'esercizio dei poteri tipici a tal fine previsti dalla legge, ossia gli interventi di contenimento numerico di cui agli artt. 19 della legge n.157/1992 e 37 della L.R. n. 34/1994, cui non si fa, invece, minimamente cenno nel provvedimento in questione. La fondatezza del motivo esaminato (primo motivo) determina l'assorbimento del secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti hanno lamentato che l'Amministrazione provinciale non avrebbe accolto le loro richieste senza effettuare una valutazione delle realtà economiche su cui il provvedimento andava ad incidere e senza esplicitare le ragioni della decisione».
Il Tar ha invece dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso sostenuto anche dalla Lac, «In quanto i ricorrenti nell'istanza di esclusione dei loro fondi dalla caccia programmata non hanno addotto, tra le varie motivazioni, quella relativa alla loro contrarietà etica all'esercizio dell'attività venatoria nei loro fondi».   

lunedì 2 luglio 2012

La Regione Veneto approva la legge salva capanni. Andrea Zanoni: "Politica sottomessa ai cacciatori"


Comunicato stampa del 2 luglio 2012

La Regione ha 
Via libera del Consiglio Regionale Veneto alla proposta di modifica della legge sulla caccia. L’Eurodeputato IdV, Andrea Zanoni: «Politica sottomessa ai cacciatori, ma la legge deve essere uguale per tutti»

Il 28 giugno scorso, il Consiglio regionale del Veneto ha approvato a maggioranza il progetto di legge presentato da Lega Nord e Pdl, con prima firmataria Elena Donazzan, che modifica la Legge regionale 50 del 1993 sulla caccia. La proposta aveva già ottenuto il parere favorevole delle Commissioni regionali Affari Istituzionali e Agricoltura.
La richiesta di modifica è passata proprio con i voti favorevoli di Pdl e Lega Nord, nonostante i voti contrari di IdV e Fsv e le astensioni di Pd e Udc. La normativa approvata prevede che gli appostamenti fissi di caccia possano essere realizzati solo con una comunicazione ai Comuni, senza licenza edilizia e autorizzazione paesaggistica. Si apre così una vera e propria sanatoria in deroga alle normative edilizie e di tutela ambientale e paesaggistica.
La proposta di Legge 253 è arrivata dopo gli innumerevoli controlli effettuati dal Corpo Forestale dello Stato nella Provincia di Vicenza. I forestali avevano rilevato la presenza di capanni ed altane abusivi, facendo partire le relative denunce per i proprietari non rispettosi della legge.
«Ci rivolgeremo al Governo per chiedere di impugnare la nuova legge davanti alla Corte Costituzionale: la legge è uguale per tutti e deve esserlo anche per i cacciatori». Lo afferma l’Europarlamentare IdV e presidente della LAC Veneto, Andrea Zanoni che ritiene il testo approvato «un privilegio inaccettabile concesso ai cacciatori».
«Siamo di fronte ad uno degli ultimi colpi di coda di una classe politica sempre più lontana dai cittadini -ha concluso Zanoni – e sempre più sottomessa alla piccola ma potente lobby dei cacciatori. I cacciatori hanno percentuali numeriche irrisorie, da prefisso telefonico, ma riescono ad avere inspiegabilmente la maggioranza dei voti in Consigli regionali come quello veneto».

Ufficio Stampa On. Andrea Zanoni